Monday, March 31, 2008

L –James Ellroy: White Jazz

Los Angeles 1958. Tempo di elezioni. Il tenente Dave Klein, squadra buoncostume, è uno sbirro corrotto manovrato, un po’ dalla mafia ed un po’ dagli alti funzionari di polizia, per risolvere situazioni rischiose. Quando il testimone chiave di un’inchiesta FBI sui rapporti tra mafia e pugilato professionistico affidato alla custodia di Klein “cade misteriosamente” da una finestra aperta ed i federali decidono di avviare una serie di inchieste sulla corruzione interna al L.A.P.D, il tenente rischia di trovarsi incastrato per tutta una serie di “favori” fatti, un paio di omicidi, qualche frode fiscale, e parecchie speculazioni immobiliari condotte al limite della legalità; intanto qualcuno ha commesso un’effrazione nella casa dei Kafesjian, narcotrafficanti ed informatori della polizia, e Klein, incaricato di indagare sul caso, pensa che si tratti del “fuoco fatuo”, un pericoloso voyeur assassino a piede libero per la città.

Inseguitore inseguito da gangster, federali e poliziotti (quale miglior capro espiatorio da offrire all'FBI, se non l'uomo al quale è stato precedentemente affidato tutto il lavoro sporco?), il tenente è costretto a passare al contrattacco; nel farlo troverà l’amore ed abbandonerà il cinico concetto di “legalità” in favore di un ben più rigido senso di “giustizia”…

Scritto in prima persona con uno fare beat (1) che ricorda Ultima fermata Brooklin di Hubert Selby Junior, White Jazz sarà forse la prova più radicale del minimalismo stilistico di Ellroy, ma non è certo il romanzo più leggibile, né il più piacevole dell’autore di L.A Confidential.
La trama intricatissima (anche troppo), mal-costruita o mal-restiutita (va bene, il passaggio alla modernità, nella letteratura come nel cinema, sarà pure segnato dalla richiesta di un maggiore impegno interpretativo da parte del fruitore, ma qui tra stile ai limiti del sopportabile e intreccio vago per i tre quarti dell’opera, si manca davvero di rispetto al lettore… ) non è che un semplice pretesto per raccontare la storiella vagamente morale del tenente Klein, e rinnovare il tema tutt’altro che nuovo della corruzione della polizia (immischiata in ogni genere di affare illegale, dal gioco d’azzardo alla prostituzione, dal narcotraffico alle speculazioni edilizie (2)).

Se qualcosa di buono resta all’opera, oltre all’ incerta ambientazione retrò (siamo sicuri che negli anni ’50 i messicani scrivessero sui muri con le bombolette spray? (3)), sono i personaggi (quelli maschili), a partire da Klein (corrotto e violento, così distante dalla modello del detective “rude ma pulito” in uso nell’hard-boiled classico) per arrivare all’insopportabile Stemmons Jr., passando attraverso il canagliesco ma simpatico Dudley Smith.

Capitolo finale della fortunatissima quadrilogia di L.A. (La dalia nera(4), L.A. Confidential (5), Il grande nulla, White Jazz), il romanzo, adattato per il cinema (6) da Matthew Michael Carnahan (già autore di The kingdom e Leoni per agnelli) sarà portato sugli schermi dal mediocre Joe Carnahan (Narc, Smoking Aces ecc.) (7).

Il romanzo “White Jazz” di James Ellroy è edito in Italia da Mondadori.




(1)D’altra parte il romanzo si chiama “White jazz”, come sottrarsi allora al fascino dell’ abusato nesso letteratura beat/ musica be-bop? Come spesso capita in questi casi, tutti i riferimenti alle “dissonanze del bop” sono tanto convenzionali da risultare quasi imbarazzanti, e stupisce che un solido mestierante come Ellroy non se ne sia reso conto.
(2)Nel romanzo si fa riferimento ai fatti di Chavez Ravine; il quartiere, un ghetto abitato fino alla fine degli anni ’50 dagli immigrati messicani, fu raso al suolo, ed il terreno fu ceduto a O’Malley (presidente della squadra dei Brooklin Dodgers) per la cifra simbolica di un dollaro. Sul terrenno di Chavez Ravine fu costruito uno stadio per il baseball, usato dai Dodgers a partire dal 1962.
(3) Reuben Ruiz a Klein : “il messicano si ferma un momento a scrivere con lo spray ‘Ramon y Kiki por la vida’ ” (pg. 163)
(4) portato sugli schermi da Brian De Palma nel 2006
(5) portato sugli schermi nel da Curtis Hanson nel 1997 e premiato con due premi Oscar (a Kim Basinger nella categoria “miglior attrice non protagonista” e a
Brian Helgeland e C. Hanson per la “miglior sceneggiatura non originale”.)
(6) la sceneggiatura è leggibile su internet all’indirizzo http://smokinjoecarnahan.com/WJ.pdf.
(7)L’uscita del film era prevista per il 2009, ma da una serie di indiscrezioni pare che George Clooney, scelto per vestire i panni del protagonista, abbia abbandonato il set per tener fede ad una serie di impegni precedenti. Gli spettatori dovranno dunque aspettare per vedere sugli schermi l’improbabile incontro tra le brutture registico-montaggistiche tipicamente postmoderne dell’artefice di Narc (se il montaggio, come affermava Godard, è un battito di ciglia, Carnham, e con lui tanti altri registi contemporanei, devono essere affetti da qualche genere di tic…) e la tanto incensata mediocrità letteraria di Ellroy.

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Saturday, March 29, 2008

C- Sidney Lumet: Onora il padre e la madre

Andrew Hanson (Philip Seymour Hoffman) ha un lavoro di responsabilità presso una grande società immobiliare newyorkese, una bella casa, una moglie attraente (Marisa Tomei) che a lui quasi non interessa più (fanno eccezione i periodi di vacanza, come dimostra l’esplicita sequenza iniziale…), e per allentare la tensione e meglio sopportare responsabilità e senso di vuoto si concede, ogni tanto, un po’ di coca a spese della ditta. Quando gli agenti del fisco rendono nota l’intenzione di ispezionare i conti, Andy, che da anni truffa la società falsificando i libri contabili, convince suo fratello Henry (Ethan Hawke nei panni di un modesto impiegato di poche speranze la cui esistenza è resa insopportabile da una ex moglie alla quale riesce a stento a pagare gli alimenti, una figlia a carico, ed una “bollente” relazione con la bella Marisa Tomei…) a rapinare la piccola gioielleria dei genitori, con l’intenzione di scappare a Rio con l’incasso. Quello che doveva essere un colpo tranquillo va però a rotoli quando mamma Hanson tenta di reagire e lei e il rapinatore (un terzo uomo coinvolto dall’insicuro Henry) ci rimettono le penne…

Ben sceneggiato dall’esordiente Kelly Masterson (ma ritoccato, così si dice in giro, dallo stesso regista), girato in digitale ed in alta definizione (ma con fotografia e colori abbastanza caldi da dare allo spettatore l’impressione di trovarsi di fronte ad una pellicola…) costruito ricorrendo alla scelta stilistica, non troppo originale, di fragmentare l’intreccio e passarlo al pubblico stravolgendo l’ordine cronologico degli eventi (viene in mente il Kubrick di Rapina a mano armata piuttosto che il Tarantino di Pulp fiction (1)), firmato dall’ormai ottantatreenne Sidney Lumet (premiato con un Oscar alla carriera nel 2005), Onora il padre e la madre è sicuramente uno dei film più interessanti della stagione. Salutato come il ritorno del regista al genere “thriller”, il film, che ha in realtà ben poco di “thrilling”, è una perfetta parabola noir dall’ andamento lento ma inesorabile, costruita sul modello delle tragedie classiche e tanto efficace quanto è prevedibile l’esito delle azioni dei personaggi. Ottima la recitazione da parte dei due protagonisti, della contesa Marisa Tomei e del padre Albert Finney.


(1) Nel film di Kubrick l’andamento non lineare dipendeva direttamente dalla struttura del romanzo di Lionel White, rispettata nell’adattamento cinematografico, e corrispondeva dunque ad una semplice scelta stilistica; in Pulp fiction gli accorgimenti temporali sembrano utilizzati anche allo scopo di chiudere il film come se i personaggi di John Travolta e Samuel Jackson (ai quali lo spettatore si è immancabilmente affezionato) fossero ancora vivi e vegeti…

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Tuesday, March 18, 2008

L- Joe R. Lansdale : La lunga strada della vendetta

Immagine:Batman in copertina al numero 27 di “Detective Comics”

Vicolo buio. Un giovane tossicodipendente raccoglie la gamba mozzata di un uomo ferito da un “pirata della strada”, la usa per percuotere la vittima fino allo stordimento, fruga nelle tasche del malcapitato estraendone un portafogli e si allontana portandosi via arto e contanti; poco più avanti una donna che è stata violentemente sbalzata su un muro è ridotta ad una poltiglia sanguinolenta; il ragazzo si guarda intorno, raccoglie una borsetta ed esce dal vicolo con aria naturale. Un poliziotto si avvicina; il ragazzo abbandona la gamba mozza e si da alla fuga, corre, salta un paio di recinzioni, sembra fuori pericolo, ma un colosso vestito di nero ferma la sua corsa avvolgendolo nel suo ampio mantello. E’ Batman…

Joe R. Lansdale, autore che non ha mai nascosto il suo amore per il pulp classico (letterario, ma evidentemente anche fumettistico) stupisce i lettori di tutto il mondo cimentandosi nella stesura di una frenetica ed iper-violenta (1) avventura inedita del supereroe nato nel 1939 dalla fantasia di Bob Kane e Bill Finger(2). Scritto con un rispetto quasi da filologo per le notizie sul passato di Batman stabilite nel corso di una quasi settantennale carriera fumettistica, La lunga strada della vendetta, mette a confronto (con una tecnica al limite tra il cinematografico (3) ed il fumettistico (4)) il supereroe, con un misterioso pirata della strada (o almeno così pare…) che si aggira per le strade di Gotham a bordo di una misteriosa Thunderbird nera.
Buona l’idea di approfondire la psicologia di Bruce Wayne (generalmente molto piatta nelle avventure di Batman); discreto, ma ampiamente accettabile se valutato secondo i canoni del fumetto, lo stile.
Un romanzo divertente.

La lunga strada della vendetta di Joe R. Lansdale è edito in Italia da BD.(5)


(1)Il gusto per il particolare scabroso, ben lungi dal rappresentare un tratto collaterale del pulp, rientra invece nella definizione del genere anche da un punto di vista lessicale; facendo affidamento sull’insensibilità tipicamente moderna verso le immagini macabre (quasi una forma di adattamento a decenni di telegiornali…), l’autore recupera, per le sequenze relativi agli omicidi, i toni eccessivi e guignoleschi tipici dello splatter cinematografico, producendo, talvolta (come nel caso della già citata gamba usata come mazza per stordire il suo legittimo proprietario) immagini di grande effetto.
(2)Batman apparve per la prima volta sul numero 27 di Detective Comics (maggio 1939); secondo le dichiarazioni del creatore Bob Kane, il supereroe era nato come incrocio tra lo Zorro interpretato da Douglas Fairbanks e Sherlock Holmes, e le sue ali (in seguito divenute un mantello) erano disegnate secondo lo schema dell’ ornitottero di Leonardo da Vinci.
(3)Ogni sezione del romanzo è introdotta dall’immaginario dettaglio di un cambio che passa ad una marcia superiore; data l’innegabile influenza esercitata dal cinema di genere sulle storie a fumetti, e dalle storie a fumetti sul cinema di genere, non ci sembra che introducendo queste contaminazioni, l’autore si sia allontanato dal progetto iniziale di scrivere un romanzo-omaggio con toni e tecniche da storia illustrata…
(4)La sezione nella quale il sistema solare viene paragonato ad un motore, scritta con lo stile (ahimé) mediocre e le generalizzazioni coraggiosamente imprecise delle didascalie dei fumetti potrebbe davvero essere uscita da una storia illustrata…
(5) Nel catalogo di BD compare anche il volume Laggiù nel profondo che raccoglie un romanzo di Joe R. Lansdale e la sua trasposizione a fumetti (firmata Luca Crovi e Andrea Mutti).

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Monday, March 17, 2008

L – Cormac McCarthy: Il buio fuori

Da questa desolazione spirava un vento che portava con sé odore di marcio, e le canne palustri e le felci nere intorno a lui si urtavano lievemente, quasi fossero in catene. Si domandò perché una strada dovesse arrivare a un posto del genere.(1)

Tre misteriosi assassini si muovono senza meta sullo sfondo di un West rigoglioso ma semi-deserto; un neonato (nato da una relazione incestuosa…) abbandonato nel mezzo di una radura viene raccolto da un calderaio girovago; un padre preso dal senso di colpa si trasforma in ladruncolo vagabondo e senza meta; una giovane madre convinta che il figlio che le è stato rubato sia ancora vivo batte le campagne nella disperata ricerca di un calderaio mai visto prima…
Scritto per pezzi brevi come rapide sequenze di un lungo montaggio incrociato (2) la cui durata copre l’intero romanzo, Il buio fuori rappresenta in maniera meravigliosa quel dissidio tra uomo e natura che sembra il fulcro delle convinzioni metafisiche di Cormac McCarthy. Se il western classico rappresenta lo sforzo pionieristico di conciliare una natura pericolosa e violenta con le esigenze dell’uomo civile, il western di McCarthy testimonia la perfetta indifferenza di una natura rigogliosa (3) alla bruttura ed all’aridità delle vicende umane. Uscito da un ventennale isolamento (4) in occasione della consegna del premio Pulitzer per la narrativa (assegnatogli nel 2007 per il romanzo La Strada), McCarthy ha partecipato al talk show di Oprah Winfrey ed in seguito ha rilasciato una lunga intervista al mensile “Rolling Stone” (uscita in Italia sul numero di marzo), confidando particolari interessanti sul suo metodo di lavoro, sui suoi gusti ed interessi: amante più del rigore scientifico (l’autore frequenta quotidianamente il “Santa Fe Institute”, luogo d’incontro di alcuni tra i migliori scienziati viventi…) che delle “speculazioni sulle cose” tipiche della letteratura, l’autore, che giura di non leggere narrativa, sembra aver inaugurato una nuova dimensione del realismo letterario, fondata su riflessioni congiuntamente morali e scientifiche, piuttosto che sul minimalismo stilistico e tematico entrato come consuetudine in tanta buona letteratura americana. Disgustato dalla violenza connaturata al genere umano, come solo i grandi conoscitori sanno esserlo (“se vieni dagli stati del Sud conosci la violenza”), McCarthy è convinto che il pianeta starebbe molto meglio senza di noi, ma la cosa non ha poi grande importanza dato che, mondo e uomo, sono irrimediabilmente destinati ad estinguersi …

Il romanzo “Il buio fuori” di Cormac McCarthy è edito in Italia da Einaudi.



(1) Cormac McCarthy, Il buio fuori, Einaudi, Torino 2008, pg. 207
(2)Il lettore sa, perché è convenzione cinematografica nota anche ai bambini, e prestata qui alla letteratura, che il montaggio incrociato porta ad un incontro, e tuttavia spera che qualche avvenimento imprevisto spezzi il corso naturale degli eventi…
(3)Tanto rigogliosa che sembra “gestita” da un dio diverso rispetto a quello che ha gettato gli uomini sulla terra.
(4)Insieme a J.D.Salinger e Thomas Pynchon (tanto restio a stare di fronte a fotografi e macchine da presa, da essere stato ironicamente inserito in una puntata de i Simpson con un sacchetto di carta sulla testa…), Cormac McCarhty era considerato uno dei grandi “invisibili” della letteratura americana.

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Sunday, March 16, 2008

L-Joe R. Lansdale: In fondo alla palude

Texas orientale, anni ’30; Harry (11 anni) e Tomasina “Tom”(9 anni), figli del signor Jacob, unico agente di polizia di Marvel Creek, abitano in una zona paludosa ai margini del fiume Sabine; usciti nei boschi per sopprimere il fidato cane Toby (rimasto paralizzato in seguito ad un terribile incidente)(1), i ragazzi si ritrovano alla base dello Swinging Bridge, un’antico ponte frequentato, secondo la leggenda locale, dal temibile Uomo-capra. Sorpresi dal buio nel fitto dei boschi (e proprio vicino al ponte), Harry e Tom imboccano una scorciatoia mai tentata prima, e si imbattono nel cadavere di una donna di colore orribilmente martoriata e legata ad un albero per mezzo di un rotolo di filo spinato. Scioccato dal ritrovamento, il signor Jacob decide di indagare sull’orribile omicidio, ma le autorità delle contee limitrofe e i membri del Ku-Klux-Klan, convinti che a nessun bianco per bene debba interessare la morte di una nera (per di più riconosciuta come una prostituta), tentano di mettergli i bastoni tra le ruote. Al primo delitto ne seguono altri, tutti portati a termine secondo le stesse, macabre, modalità, e presto i cittadini smettono di sentirsi tranquilli; una vecchia nera della zona già parla di riti voodoo e patti col diavolo, i bambini sono pronti ad incolpare il misterioso uomo-capra (avvistato, sia da Harry che da Tomasina in diverse occasioni….), altri temono la presenza di un serial killer a spasso per le campagne… Sconvolto dal senso di colpa per aver assistito, senza poter reagire, al linciaggio di un nero innocente, Jacob perde interesse nelle indagini e si rifugia nella bottiglia, ma il ritrovamento di un nuovo cadavere lo costringe a rimettersi al lavoro…

Ambientato nell’amato Texas orientale, ed in particolare nelle familiari paludi del fiume Sabine (2), scritto nel consueto stile minimale (diremmo maturato, perché le cadute di tono segnalate nei romanzi precedenti, sono qui quasi del tutto scomparse…), con la solita attenzione anti-razzista e progressista, costruito tematicamente recuperando i clichés dell’ottusità della legge (rappresentata ovviamente, non dall’umano Jacob, ma dal convenzionale Red, che incarna perfettamente lo stereotipo dello sceriffo razzista e violento…), della codardia dei Kluxxers ecc., e, dal punto di vista dell'intreccio, mettendo una piccola comunità rurale alle prese con un antenato dei moderni serial killer(3) “In fondo alla palude” (che riconferma la sensibilità , già dimostrata in "L’ultima caccia” (4), nel creare personaggi-bambini di grande coraggio e tenerezza…) è forse uno dei romanzi più riusciti di Joe Lansdale.

Il romanzo “In fondo alla palude” di Joe Lansdale è edito in Italia da Fanucci.



(1) Ma non abbiano paura amanti dei cani ed animalisti in genere: l’ “esecuzione” non avrà mai luogo…
(2) La zona delle paludi del Sabine, che fa da sfondo ai romanzi “Una stagione selvaggia”, “In fondo alla palude”, “L’ultima caccia”, è luogo d’ origine dello stesso Lansdale.
(3) l’idea (credibilissima) proposta da Lansdale è che i serial killers siano sempre esistiti, e che i loro delitti non siano mai stati collegati per la scarsa comunicazione tra le varie contee…
(4) “In fondo alla palude” e “L’ultima caccia” sono legati per diversi motivi: Il setting comune (testimoniato dall’ incontro dei personaggi dei due romanzi), la struttura da “romanzo di formazione” (Volendo restare nell’ambito della letteratura di genere, come antecedente viene in mente lo Stephen King del racconto capolavoro “Il corpo” (dalla raccolta “Stagioni diverse”, 1982, ribattezzato per la versione cinematografica diretta nell’’86 da Rob Reiner, “Stand by me, ricordo di un’estate”), le tematiche antirazziste, la cura nella ricostruzione degli ambienti vintage (se in “L’ultima caccia” il catalogo Sears & Roebuck serviva alla rievocazione dei primi anni ’30, in “In fondo alla palude”, ha addirittura un ruolo particolare nel modus operandi del serial killer) ecc.

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Friday, March 07, 2008

C- Tim Burton: Sweeney Todd, il diabolico barbiere di fleet street

Benjamin Barker (Johnny Depp) è un valente barbiere nella Londra di fine 700; ingiustamente incastrato (non si sa bene con quale accusa) dal malvagio giudice Turpin, il cui unico scopo è quello di insidiargli la bella sposa, l’uomo viene allontanato da Londra.Tornato in città, dopo quindici anni di esilio, ed impossibilitato a riallacciare i rapporti con moglie e figlia, il pacato Barker si trasforma nel sanguinario e vendicativo barbiere Sweeney Todd…

Ispirato ad un reale fatto di cronaca (il barbiere fu effettivamente attivo in Fleet street, a Londra, negli anni tra il 1785 ed il 1801 quando, nel mese di ottobre, fu rinchiuso nel carcere di Newgate), già oggetto dei due romanzi gotici “Sweeney Todd: the demon barber of Fleet street” (1847)e “The String of Pearls” (1) (1850) (entrambi anonimi), adattato per il cinema per la prima volta nel 1926 (per la regia di George Dewhurst) e musicato nel 1979 da Sondheim e Wheeler, il film di Burton, presentato come ultimo capolavoro di un visionario (ma si dovrebbe forse dire monomaniaco, come si fa con chi tende a ripetersi in maniera ossessiva), non è che un mediocre remake del musical del ’79, agevolato dal progresso della computer graphics (2) e girato con il solito gusto burtoniano per gli ambienti ed i costumi tetri.
Buona l’interpretazione della diabolica Bonham Carter (una Mrs. Lovett che risulta incommensurabilmente più crudele dello stessp Todd…), bella ma scontata (e d’altra parte già presente nel musical del ‘79) l’idea del cannibalismo come metafora del capitalismo…

(1)il romanzo, mai edito in Italia è stato tempestivamente tradotto, (molto male, e, con gravissime disattenzioni) da Anna Lamberti-Bocconi e Francesca Sansoni e pubblicato da newton-compton.
Ai lettori esigenti si consiglia comunque di attendere un’edizione rivista, anche perché avere a che fare con frasi come “Se fosse dieci volte un santo, madre, invece di essere solo un miserabile ubriacone depravato, sarebbe stato meglio che fosse stato insultato dieci volte di più, piuttosto che tu abbia permesso a tua figlia di subire l’indegna umiliazione di trovarsi costretta a rifiutare una proposta come quella che mi è appena stata fatta.” ( Sweeney Todd, il diabolico barbiere di Fleet Street, Newton Compton, Roma, 2007, pg. 81), per quanto meno doloroso di una rasoiata da orecchio a orecchio, è tanto rivoltante quanto una meat pie piena di carne umana...
(2)Gli ambienti digitalmente ricostruiti di una lugubre Londra di inizio ‘800 sono forse uno dei pochi aspetti gradevoli del film oltre alla bella voce di Johnny Depp, naturale (ma d’altra parte l’attore ha recentemente dichiarato, in un intervista rilasciata al mensile “rolling stone”, di aver esordito come cantante) ed inaspettatamente profonda.

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Monday, March 03, 2008

C- Joel e Ethan Coen: Non è un paese per vecchi

Cosa nasce dall’incontro tra uno dei maggiori rappresentanti della letteratura americana contemporanea, e due tra i più eleganti ed ironici cantori del sogno americano (ed eventualmente del suo fallimento) nella sua versione cinematografica? Un capolavoro, ed infatti poco più (o poco meno) si può dire di “Non è un paese per vecchi”, tratto dall’ omonimo romanzo di Cormac McCarthy(1) e portato sugli schermi dai fratelli Coen.

La trama è molto semplice (o almeno così pare, salvo lasciare poi alcuni curiosi interrogativi (2) che gli spettatori più distratti non coglieranno neppure…): Llewelyn Moss (Josh Brolin, recentemente apparso nei panni del detective Trupo in “American Gangster” di Ridley Scott), reduce del Vietnam impiegato come saldatore, vivacchia alla meglio con la giovane moglie Carla Jean in una cittadina di confine tra Texas e Messico; capitato sul luogo di uno scambio di droga finito male, l'ex militare si appropria di una valigetta contenente due milioni di dollari e fugge verso casa, ma per una serie di "sfortunate coincidenze" si ritrova inseguito da polizia e gangster.
Braccato dal temibile, folle, assassino Chigurh(3) (costretto da una singolare etica del lavoro ad onorare anche i contratti stipulati con mandanti defunti) Llewelyn non può fare altro che abbandonare la fuga, e passare al contrattacco…
Presentato (e giustamente acclamato...) l'anno scorso al festival di Cannes, finalmente giunto nelle sale italiane alla fine di febbraio, premiato con quattro premi oscar il 24 del mese scorso, “Non è un paese per vecchi”, che coniuga toni western ( tematici, cinematografici (4) e fotografici), ad un classico intreccio da thriller, è l'ennesima prova dell'eleganza dei Coen. I registi hanno tentato, attraverso l'appiattimento delle scene d'azione, l'adozione di un ritmo regolare(5) e privo di accelerazioni, la reticenza nel mostrare la triste (ma ovvia) fine del protagonista (svuotata di ogni tensione emotiva, relegata all'angolo di una breve e scura inquadratura notturna, e servita con un'indifferenza tale da passare quasi inosservata), e tutta una serie di piccoli accorgimenti, un recupero delle riflessioni morali che fanno da spina dorsale al romanzo (6).
Meraviglioso Tommy lee Jones nei panni dello sceriffo Bell, ormai troppo vecchio per comprendere il proprio paese, oltre che per difenderlo.
Vivamente consigliato.


(1)Cormac McCarthy, classe 1933, autore di una meravigliosa trilogia western (“Cavalli selvaggi”, “Oltre il confine” e “Città della pianura”), del grottesco “Figlio di dio”, oltre che, naturalmente, di “Non è un paese per vecchi” è stato insignito nel 2007 del prestigioso “premio Pulitzer” per il romanzo post-apocalittico “La strada”; tutte le sue opere sono edite in Italia da Einaudi.
(2)Un esempio: Che fine ha fatto la valigetta?
(3) Javier Bardem premiato con un oscar nella categoria “best supporting actor”
(4)si pensi ai meravigliosi esterni in campo lungo e lunghissimo che accompagnano la presentazione di Llewelyn…
(5) Forse eccessivamente regolare: Conclusa la vicenda di Llewelyn il pubblico sembra perdere interesse, e così la riflessione finale di Bell/Jones, che dava senso al romanzo, cade nel vuoto …
(6) Ci sembrano ingiuste le accuse di quei critici secondo i quali i Coen avrebbero trasformato il romanzo di McCarthy in un semplice thriller...

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