Thursday, February 22, 2007

C- David Lynch: Inland Empire

L’attrice Nikki Grace (Laura Dern alla sua terza esperienza con il regista David Lynch che l’aveva voluta con se in “velluto blu” e “Cuore selvaggio”…) non è più molto giovane, e non ha mai raggiunto un vero successo; sposata con un ricco e potente produttore Hollywoodiano di origini polacche vive in una meravigliosa villa nel cuore di Los Angeles.Un giorno, una strana vecchia suona alla porta presentandosi come “la nuova vicina” e si lancia in una serie di strane profezie (intercalate dalla recitazione di alcune macabre favole) che sembrano in qualche modo legate all’inizio delle riprese di un nuovo film nel quale Nikki, affiancata da Devon Berk (Justin Theroux già diretto da Lynch in “Mulholland Drive”), figurerà come protagonista.Le riprese incominciano, ma ben presto il film si rivela remake di una vecchia pellicola mai ultimata per la misteriosa morte dei due protagonisti.Tra i due attori, in un primo tempo distanti ed imbarazzati nasce una relazione, ma il marito di Nikki è vigile…

Questa, in linea di massima la narrazione di primo livello del nuovo film di David Lynch, “Inland Empire”; se state leggendo questa recensione, e pensate che i “…” posti in chiusura del paragrafo precedente possano nascondere chissà quale sviluppo dell’intreccio, beh, vi state illudendo.
Inland Empire, presentato da Lynch al festival di Venezia 2006, in occasione del leone d’oro alla carriera, è un vero e proprio gioco di scatole cinesi, o almeno questo è quanto si deve credere per poter giustificare in parte un’ opera non solo ambigua (i fan di Lynch sanno come si possano sorvolare le mancanze dell’intreccio per godersi opere disturbanti costruite con l’associazione di immagini e suoni irrazionalmente accostati ecc.), ma decisamente inconsistente.
Dal punto di vista grafico, l’introduzione del digitale non giova certo alla costruzione dell’immagine, e la scelta iniziale delle inquadrature tremolanti infastidisce, senza mai arrivare a disturbare realmente (vi si assiste con assoluta mortificazione del senso estetico e sempre mantenendo un certo distacco emotivo).
Dal punto di vista tematico, la mancanza assoluta di intreccio, sembra segnalare non un cammino verso l’essenzialità, verso una dimensione assolutamente anti-narrativa e totalmente emotiva, ma una gravissima mancanza di ispirazione alla quale si sia tentato di supplire con gli orribili meccanismi dell’autocitazione (si accosti ad esempio la camera verde abitata dai tre conigli alla memorabile stanza rossa di “Fuoco cammina con me”) applicati a sproposito.
Volendo parlare a favore di quest’opera eccessiva e piatta, si potrebbe forse tentare di ricostruire le mille trame inserite una nell’altra (ma poi ci sono realmente, o è solo lo zelo dei fan a produrle, poggiando su una serie di vuoti simboli proiettati sullo schermo in maniera casuale?), individuando e perchè no, moltiplicando le tante tematiche (volendo proprio assumere un ruolo apologetico si potrebbe indicare, ad esempio, la critica alla spettacolarizzazione, rappresentata dalla morte di Susan Blue nel bel mezzo di Hollywood Boulevard con tanto di tramps che stanno a guardare) presenti nel film.
Qualcuno potrà forse obbiettare che, trattandosi di un prodotto di avanguardia, non è lecito valutarlo con i criteri del cinema mainstream, ma d’altra parte, che senso ha tentare di allargare le frontiere del brutto che già regna?
A chi affermi che Lynch ha da tempo abbandonato la via del cinema narrativo per concentrarsi su prodotti più viscerali (si pensi ad esempio a Lost Higways e Mulholland Drive), si può far notare che quest’opera, pur avendo in comune con le altre un certo svuotamento tematico, non riesce a mettere lo spettatore in quello stato di irrazionale agitazione alla quale le pellicole precedenti ci avevano abituato.

Un film vuoto ed inutile, che non dice nulla (nonostante le quasi tre ore di pellicola utilizzate), e per di più lo dice male.

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