Thursday, August 27, 2009

Kent Harrington: Dia de los Muertos


Tijuana, Messico, anni ’90. 1 novembre, e c’è nell’aria (caldissima) il clima festoso delle vigilie: il “dia de los muertos” si avvicina, e mentre gli abitanti della zona si preparano alle celebrazioni, i turisti americani si sbronzano senza freni ai tavoli dei bar, affollano cinodoromi e sale corse, o si infilano nei mille bordelli di poco conto della cittadina messicana. Solo l’agente DEA Vincent Calhoun, un corrotto sbirro di frontiera trascinato sempre più in basso dal vizio del gioco, non ha l’aria di divertirsi: da quando, preda della “malasuerte”, ha chiesto un po’ di soldi in prestito a qualche strozzino, è stato costretto a lanciarsi in lavoretti (piccoli “trasporti eccezionali” attraverso la frontiera) sempre più sporchi e pericolosi, destando così l’attenzione dei suoi superiori. Finito al centro di un’indagine DEA sui traffici lungo la linea di confine, Calhoun si muove per le strade di Tijuana tentando di evitare gli strozzini e gli uomini degli affari interni. La situazione è buia, e, anche riuscendo a lasciare la città, Calhoun potrebbe non aver molto da vivere: costretto, dall’ennesimo attacco di febbre e capogiri, a far visita ad un ambulatorio medico semi-clandestino, ha scoperto di avere la dengue, una malattia tropicale che uccide al termine di una serie di terribili emorragie. Tutto ciò che può fare, è accettare la proposta dell’americano Slaughter, strozzino e trafficante, che gli ha promesso l’estinzione di tutti i debiti in cambio del trasporto di un passeggero che scotta, e lasciarsi alle spalle Tijuana…. Ma l’arrivo in città della bella Celeste, quasi un’apparizione dal passato “rispettabile” dell’agente Calhoun, sconvolgerà ogni piano…

Dia de los Muertos di Kent Harrington(1) è un romanzo noir dai toni classici(2) che vira -un po’ per ambientazione, un po’ per la tecnica adottata nelle scene d’azione- al western moderno, abbandonandosi a tratti a parentesi di pura decadenza(3), tanto inaspettate da risultare surreali, tanto incredibili da sembrare prodotte dai deliri del protagonista febbricitante.
Duro come la pietra, pieno di ritmo, preciso e inarrestabile come la corsa di un proiettile, piacevolmente secco e stilisticamente misuratissimo, Dia de los Muertos, edito in Italia da Meridiano Zero, è un piccolo capolavoro noir passato inspiegabilmente inosservato sotto lo sguardo di esperti ed appassionati.



(1)Kent Harrington, un tempo considerato una grande promessa del nuovo noir americano, è uno di quegli autori pieni di talento che rimangono -chissà come e chissà perchè- semplici promesse, e non raggiungono mai il più che meritato successo di pubblico...
(2)Ricorda da vicino, per intreccio oltre che per ambientazione, Serenata di James M. Cain e alcune pagine di David Goodis (ma rivisti con gli occhi di un autore evidentemente formatosi alla scuola del miglior Jim Thompson e del Peckinpah di Voglio la testa di Garcia…)
(3) Ma d’altra parte si sa, e, data la portata degli esempi classici, dal già citato Cain all’Hammett di The Golden Horseshoe, non c’è bisogno di scomodare James Ellroy e il suo Tijuana Mon Amour: il Messico dell’immaginario noir –ormai un vero e proprio luogo dell’anima per milioni di lettori- è la terra dei sogni di rivalsa, ma anche dell’abbandono e della miseria…

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Friday, August 21, 2009

Soulsavers: Broken


Il portale CdBaby, utilissimo per chi cerchi delucidazioni sulle ultime (e penultime) tendenze del continente musicale “indie”, raccoglie un tipo particolare di sound sotto la dicitura “Mood: brooding”; insistendo nella ricerca di un'etichetta per il genere in questione, ci si imbatte, su internet, in un proliferare di definizioni vuote, approssimative e, generalmente, poco diffuse (verrebbe da dire convenzionali, se non fosse che le convenzioni sono generalmente condivise da più soggetti…): Gothic-country, southern gothic, dark-blues, gothic blues, noir-blues, folk-noir, ecc. ecc.. In realtà, forse non si tratta neppure di un genere, ma di una serie di somiglianze, che fanno si che tra gli artisti coinvolti si crei -per dirla con Wittgestein- “un’aria di famiglia”; così si finisce per associare Nick Cave ai londinesi Tindersticks, gli americani Willard Grant Conspiracy ai National, l’australiano Mick Harvey all’inglese Scott Walker e a Lee Hazelwood, Bonnie Prince Billy e l’ultimo Johnny Cash a Jay Munly, i Wowen Hand, Rowland S. Howard, la Handsome family ecc. ecc.. A questo clima musicale appartiene a pieno titolo Broken, ultimo lavoro dei “Soulsavers”, duo di Manchester che aveva già conquistato un pubblico di appassionati di tutto il mondo con il riuscitissimo album d’esordio It’s Not How Far You Fall, It’s How You Land (2007).
Affiancati dall’immancabile Mark Lanegan (e da ospiti eminenti quali Bonnie ‘Prince’ Billy, Jason Pierce della band “Spiritualized”, Mike Patton e Richard Hawley) i Soulsavers -Rich Machin e Ian Glover-, programmaticamente trasversali e sperimentatori per fondazione, confezionano un album dai toni scuri e dalle tinte forti, che alterna ampie ballate pianistiche (You will miss me when I Burn, Can’t catch the train) a pezzi rock dal sapore psichedelico più o meno marcato (Unbalanced Pieces, Death Bells), momenti neo-folk (Pharaos Chariot) e twanganti quasi-gospel (Praying Ground), perle noise (Rolling Sky) e brani strumentali dal gusto neo-classico (The seventh proof, Wise blood); e il lavoro -date le premesse è quasi superfluo dirlo- funziona egregiamente, risultando, fin dal primo ascolto, liricamente e musicalmente interessante(1).
Da segnalare, oltre alla "single track" You Will miss me when I burn (cover degli oldhamiani "Palace Brothers"), la splendida Shadows Fall e l'intrigante Rolling Sky.

In uscita in questi giorni per Columbia Records, Broken sarà presentato al pubblico italiano nei due concerti dell'1 e 2 settembre(2).



(1)D’altronde, per farsene un’idea basta dare un’occhiata alle influenze riportate sulla pagina myspace della band (http://www.myspace.com/soulsavers): qui, tra riferimenti musicali e letterari più o meno prevedibili (dall’immancabile Johnny Cash all’ormai onnipresente Charles Bukowski, vero e proprio “must” di un certo neodecadentismo facilmente “maledetto”), compaiono anche un nobilitante “William Faulkner” e un insospettato “Harry Crews”…
(2) Rispettivamente all' Estragon Festival di Bologna e al Magnolia Parade di Milano.

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Friday, August 14, 2009

Joe R. Lansdale: Mucho Mojo


Una recensione del romanzo Mucho Mojo, di Joe R. Lansdale, è recentemente apparsa sul portale Sugarpulp. (http://www.sugarpulp.it/critica/libri/mucho-mojo).

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Sunday, August 09, 2009

Marco Philopat. La banda Bellini


Quartiere del Casoretto, Milano, anni ’70. Il ’68 è appena passato, ma, nelle piazze, la lotta è già durissima. Il movimento è in gran fermento e le nuove posizioni ideologiche penetrano nelle assemblee pubbliche creando le prime, sottili, spaccature.
In città i militanti dell’Universtià Statale, gli “statalini”, organizzati in un servizio d’ordine ultra-gerarchizzato, la fanno da padroni. Gli studenti medi sono divisi in due grandi gruppi, i maoisti da un lato e gli stalinisti dall’altro.
In questo clima di militarizzazione, fermento, discussioni, di grandi speranze ma anche e soprattutto d’azione, i fratelli Bellini, segnati dalla visione di Il mucchio selvaggio, riuniscono in “banda” i ragazzi del quartiere popolare del Casoretto. Rivestiti dei loro segni di riconoscimento -spolverini verdi militari lunghi sotto il ginocchio e rayban tecnici dalle lenti azzurre sottratti agli sprovveduti fascistelli pescati nella borghessissima zona di piazza San Babila- i ragazzi della “Banda Bellini” diventano, in pochi anni, il più agguerrito e affidabile servizio d’ordine del movimento.
Aspiranti eroi della strada a volto scoperto e armati di semplici bastoni, i cowboy del Casoretto si trovano però sbandati con l’avvicinarsi del ’77; definitivamente divisi da un’incomponibile frattura ideologica, alcuni imboccheranno la strada dell’autonomia e della lotta armata, altri resteranno fedeli alle scelte iniziali del gruppo (movimentismo, volti scoperti, uso di semplici bastoni), qualcuno, vittima di improbabili teorie chimiche, cadrà, infine, vittima dell’eroina…

Ispirato ai racconti orali di Andrea Bellini, a metà tra Il giovane Holden(1) e Il mucchio Selvaggio, tra il nuovo bildungsroman, il western metropolitano, il diario intimo e il resoconto storico-politico, La banda Bellini è un romanzo dai toni marcatamente epici, rapido come una cavalcata, impetuoso come un fiume in piena(2) e grammaticamente irriverente –tanto da risultare, sul principio, quasi fastidioso- che lavora su un immaginario ampio e spesso ingannevole, facendo rivivere, tra linguaggio folkloristico, anticonformismo (più o meno di maniera) e ultra-realistica spaesatezza di fronte ad un mondo che sembra cambiare troppo in fretta e che rimane, invece, invariabile e immutato, gli anni ’70 da un’inedita prospettiva interna che relega i grandi drammi storici (da Piazza Fontana a Piazza della Loggia ecc.) sullo sfondo, per concentrarsi sull’esperienza personale, onorando così il principio d'epoca (tanto in odio ad Andrea Bellini) secondo il quale " il personale è politico".

La banda Bellini di Marco Philopat è edito in Italia da Einaudi.



(1)La somiglianza è però da ricercare nello sguardo in bilico tra ingenuità e irriverenza: mancano del tutto, ne La banda bellini, gli infiniti turbamenti giovanili del protagonista salingheriano....
(2) Sarà forse la “ribelle” soppressione di tutte le virgole a dare questo senso di inarrestabilità, di inesorabilità e dinamismo incontrollato).

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Sunday, August 02, 2009

Jospeh Wambaugh: Il campo di cipolle

9 marzo 1963; gli agenti Campbell e Hettinger del Los Angeles Police Department fermano, con il pretesto di un controllo di routine, una piccola Ford marrone, un’automobile “troppo pulita”. Sovraeccitati e pronti a tutto, i due passeggeri del veicolo, George Powell e Jimmy Smith, piccoli criminali sul punto di rapinare l’ennesimo negozio di liquori, riescono, in maniera quasi inspiegabile, a disarmare e sequestrare gli agenti.
Per i due poliziotti, costretti a salire in auto sotto la minaccia di un paio di pistole, è l’inizio di un incubo: al termine di un breve ma tortuoso e poco più che casuale percorso tra le colline di Los Angeles, i quattro uomini si ritrovano, infatti, in un desolato campo di cipolle dalle parti di Bakersfield. Qui, ignari di alcuni risvolti della “legge di Lindbergh” e convinti di essere comunque destinati, in caso d’arresto, alla sedia elettrica, Powell e Smith decidono di liberarsi degli agenti, ma le cose vanno storte ed Hettinger, testimone impotente della morte del suo collega, riesce a fuggire…

Servendosi di un filtro realista dai modi documentaristici (focalizzazione esterna integrata da aperti tentativi di interpretazione psicologica, ricostruzione biografica condotta con l’aiuto di testimonianze di amici, parenti e conoscenti, ecc.), Wambaugh ricostruisce un caso giuridico esemplare che ha sollevato, negli anni, l’interesse, le ire e le reazioni indignate di un pubblico –quello americano- sempre vagamente conservatore e spesso restio ad ammettere incertezze ed idiosincrasie dei propri organi istituzionali.
Ovviamente, nel tempo, complici la continua estensione della frontiera del narrabile (e del mostrabile) e la crescente confidenza con delitti sempre più efferati, il caso in questione ha perso un po' del suo originale impatto emotivo, e, per quanto non si possa dire che i fatti riportati non sconvolgano più, è comunque doveroso ammettere che ognuno di noi si confronta (in maniera mediatica) con verità ben peggiori, su base quasi quotidiana.

La lunga sequenza relativa alle udienze e agli stratagemmi usati per evitare la condanna a morte, concepita per suscitare l’indignazione del pubblico americano(1), stenta a far presa sul lettore italiano, un po’ per la differenza procedurale, un po’ per la diffusa e radicata sfiducia nei confronti del nostro sistema legale (per cui alle brutture altrui si assiste pure con un minimo di sollievo).
C’è poi tutta una serie di problemi legati alla traduzione (già piuttosto vecchia) e all'edizione, segnata da una lunga serie di sviste e refusi(2) che fanno si che il volume -che già in originale mostra solo a tratti l’indiscutibile talento e la prosa intelligente di Wambaugh, non rende assolutamente giustizia all’autore dell’indimenticabile I ragazzi del coro e dell’incredibile Hollywood Station(3) e non merita il confronto, pur proposto da James Ellroy nella sua introduzione, con A sangue freddo di Truman Capote- risulti lento, già letto e piuttosto noioso.
Oggetto letterario indiscutibilmente interessante (appartiene a una qualche terra di confine tra il genere “true crime” e il reportage, tra la narrativa poliziesca e il romanzo dai risvolti legali(4)), il romanzo di Wambaug risulta, nel complesso piuttosto "vecchio", vagamente "passato".

Scritto nel 1973, fatto oggetto di infinite ristampe, riedizioni e traduzioni, portato sugli schermi nel 1979 in un pregevole adattamento curato dall'autore, diretto da Harold Becker e interpretato da John Savage e James Woods, Il campo di cipolle di Joseph Wambaugh è stato recentemente riproposto ai lettori italiani da Einaudi.



(1)Tra le pagine di Wambaugh sembra di intravedere una difesa della pena capitale; ma sarà ancora valida questa scelta, o l'autore sarà arrivato, al pari di molti connazionali, a posizioni simili a quelle espresse da Clint Eastwood nel recente The Changeling?
(2)Tanto per limitarsi ad un esempio, a pagina 409 si legge «Non intendeva consegnare la macchina per scrivere, e nemmeno la mezz’ora di cantilenanti e lascive promesse di Greg su ciò che sarebbe accaduto dopo la sua evasione non riuscirono a persuaderla» [Jospeh Wambaugh, Il campo di cipolle, Einaudi, Torino 2009, p. 409].
(3)L’intelligenza e l’umanità dell'autore riemergono, però, nell’empatica ricostruzione della tragedia umana del sopravvissuto Hettinger: incapace di superare il trauma e costretto dal senso di colpa a una vera e propria discesa agli inferi; a ridosso del fatto pochi poliziotti (o ex-poliziotti come Wambaugh) hanno saputo resistere alla tentazione di incolpare l’agente di negligenza addossandogli la responsabilità della morte del suo collega...
(4)Non è lecito, in questo caso, parlare di legal thriller, perché, in effetti, le strategie legali, le tattiche scelte dagli avvocati ecc., restano in secondo piano e cedono il passo ad una serie di assurdi passaggi procedurali che costruiscono, in un clima da scacco del garantismo, un processo dall’atmosfera anti-kafkiana: i colpevoli (decisamente, dichiaratamente colpevoli) restano impuniti, anche se tempi, modi e moventi del crimine sono ben chiari, e si assiste impotenti e toccati alla corsa verso l’autodistruzione del superstite agente Hettinger.

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