Kent Harrington: Dia de los Muertos
Tijuana, Messico, anni ’90. 1 novembre, e c’è nell’aria (caldissima) il clima festoso delle vigilie: il “dia de los muertos” si avvicina, e mentre gli abitanti della zona si preparano alle celebrazioni, i turisti americani si sbronzano senza freni ai tavoli dei bar, affollano cinodoromi e sale corse, o si infilano nei mille bordelli di poco conto della cittadina messicana. Solo l’agente DEA Vincent Calhoun, un corrotto sbirro di frontiera trascinato sempre più in basso dal vizio del gioco, non ha l’aria di divertirsi: da quando, preda della “malasuerte”, ha chiesto un po’ di soldi in prestito a qualche strozzino, è stato costretto a lanciarsi in lavoretti (piccoli “trasporti eccezionali” attraverso la frontiera) sempre più sporchi e pericolosi, destando così l’attenzione dei suoi superiori. Finito al centro di un’indagine DEA sui traffici lungo la linea di confine, Calhoun si muove per le strade di Tijuana tentando di evitare gli strozzini e gli uomini degli affari interni. La situazione è buia, e, anche riuscendo a lasciare la città, Calhoun potrebbe non aver molto da vivere: costretto, dall’ennesimo attacco di febbre e capogiri, a far visita ad un ambulatorio medico semi-clandestino, ha scoperto di avere la dengue, una malattia tropicale che uccide al termine di una serie di terribili emorragie. Tutto ciò che può fare, è accettare la proposta dell’americano Slaughter, strozzino e trafficante, che gli ha promesso l’estinzione di tutti i debiti in cambio del trasporto di un passeggero che scotta, e lasciarsi alle spalle Tijuana…. Ma l’arrivo in città della bella Celeste, quasi un’apparizione dal passato “rispettabile” dell’agente Calhoun, sconvolgerà ogni piano…
Dia de los Muertos di Kent Harrington(1) è un romanzo noir dai toni classici(2) che vira -un po’ per ambientazione, un po’ per la tecnica adottata nelle scene d’azione- al western moderno, abbandonandosi a tratti a parentesi di pura decadenza(3), tanto inaspettate da risultare surreali, tanto incredibili da sembrare prodotte dai deliri del protagonista febbricitante.
Duro come la pietra, pieno di ritmo, preciso e inarrestabile come la corsa di un proiettile, piacevolmente secco e stilisticamente misuratissimo, Dia de los Muertos, edito in Italia da Meridiano Zero, è un piccolo capolavoro noir passato inspiegabilmente inosservato sotto lo sguardo di esperti ed appassionati.
(1)Kent Harrington, un tempo considerato una grande promessa del nuovo noir americano, è uno di quegli autori pieni di talento che rimangono -chissà come e chissà perchè- semplici promesse, e non raggiungono mai il più che meritato successo di pubblico...
(2)Ricorda da vicino, per intreccio oltre che per ambientazione, Serenata di James M. Cain e alcune pagine di David Goodis (ma rivisti con gli occhi di un autore evidentemente formatosi alla scuola del miglior Jim Thompson e del Peckinpah di Voglio la testa di Garcia…)
(3) Ma d’altra parte si sa, e, data la portata degli esempi classici, dal già citato Cain all’Hammett di The Golden Horseshoe, non c’è bisogno di scomodare James Ellroy e il suo Tijuana Mon Amour: il Messico dell’immaginario noir –ormai un vero e proprio luogo dell’anima per milioni di lettori- è la terra dei sogni di rivalsa, ma anche dell’abbandono e della miseria…
Dia de los Muertos di Kent Harrington(1) è un romanzo noir dai toni classici(2) che vira -un po’ per ambientazione, un po’ per la tecnica adottata nelle scene d’azione- al western moderno, abbandonandosi a tratti a parentesi di pura decadenza(3), tanto inaspettate da risultare surreali, tanto incredibili da sembrare prodotte dai deliri del protagonista febbricitante.
Duro come la pietra, pieno di ritmo, preciso e inarrestabile come la corsa di un proiettile, piacevolmente secco e stilisticamente misuratissimo, Dia de los Muertos, edito in Italia da Meridiano Zero, è un piccolo capolavoro noir passato inspiegabilmente inosservato sotto lo sguardo di esperti ed appassionati.
(1)Kent Harrington, un tempo considerato una grande promessa del nuovo noir americano, è uno di quegli autori pieni di talento che rimangono -chissà come e chissà perchè- semplici promesse, e non raggiungono mai il più che meritato successo di pubblico...
(2)Ricorda da vicino, per intreccio oltre che per ambientazione, Serenata di James M. Cain e alcune pagine di David Goodis (ma rivisti con gli occhi di un autore evidentemente formatosi alla scuola del miglior Jim Thompson e del Peckinpah di Voglio la testa di Garcia…)
(3) Ma d’altra parte si sa, e, data la portata degli esempi classici, dal già citato Cain all’Hammett di The Golden Horseshoe, non c’è bisogno di scomodare James Ellroy e il suo Tijuana Mon Amour: il Messico dell’immaginario noir –ormai un vero e proprio luogo dell’anima per milioni di lettori- è la terra dei sogni di rivalsa, ma anche dell’abbandono e della miseria…
Labels: Dashiell Hammett, Ellroy, Frontiera, James M. Cain, Letteratura, Letteratura Americana, Letteratura Noir, Messico, Tinte Western, Toni Classici
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