Wednesday, January 30, 2008

L- Joe R. Lansdale: L’anno dell’uragano

Foto: Il Pugile Jack Johnson
Galveston, Texas, Settembre 1900; il giovane di colore Jack ‘Lil Arthur’ Johnson(1), cresciuto negli incontri di lotta clandestini, e poi passato al pugilato, si è guadagnato il titolo di campione locale sconfiggendo il bianco Forrest Thomas; i ricchi e razzisti possidenti dello sporting club, insofferenti nei confronti del ragazzo hanno convocato John Mc Bride, un bianco, violento, razzista aspirante al titolo dei massimi, “uno e ottantacinque abbondanti, quasi cento chili, le manone come prosciutti e un fisico da cinghiale” (2) organizzando il combattimento dell’anno; intanto la vita degli abitanti di Galveston procede monotona e regolare finchè un uragano in arrivo da Cuba porta lo scompiglio sull’isola…


Scritto nel 2000 come ampliamento di un racconto pubblicato nel 1997, ingiustamente spacciato per romanzo sul pugilato, truffaldinamente accostato al racconto The Mexican di Jack London, L’anno dell’uragano è in realtà la narrazione (dai chiari intenti progressisti ed antirazzisti) di una terribile tempesta tropicale che si abbatte, come un anticipo sull’apocalisse, sull’isoletta di Galveston incrinandone (complice il violento Mc Bride) il rodato (e non per questo privo di brutture) meccanismo sociale. Normalmente additato come erede della tradizione del western letterario, Lansdale non abbandona il gusto tipicamente pulp per i particolari grotteschi e violenti e per il colpo di scena, e costruisce, nonostante la brevità della romanzo, la scarsità di personaggi ed avvenimenti ecc., un intreccio imprevedibile e ben congegnato, che tiene il lettore in sospeso fino all’ultimo.
Il romanzo risulta turbato dalla volgarità del parlato (dimentico della lezione dei grandi narratori del sud da Faulkner a Caldwell, da Steinbeck alla O’Connor, Lansdale sembra convinto che i dialoghi sboccati possano conferire ai personaggi un tono di maggiore durezza), che talvolta investe la stessa narrazione traducendosi in qualche lampante esempio di immaturità stilistica (che dire di un incipit come “In un pomeriggio più caldo di due ratti che trombano in un calzino di lana”?).
Segnato da numerosi errori e spiacevolezze, ben lontano dall’essere un capolavoro, L’anno dell’uragano funziona, e, come un film di serie z, offre, se affrontato con la giusta indulgenza, un piacere inatteso e quasi inspiegabile…

Il romanzo L’anno dell’uragano di Joe R. Lansdale è edito in Italia da Fanucci.



(1) Jack Johnson (1878- 1846) fu una figura leggendaria della boxe professionistica ed una delle icone dimenticate dei movimenti per i diritti dei neri.
Nato e cresciuto a Galveston, Johnson si dedicò al pugilato fin da tenera età. Il primo arresto nel 1901 (la pratica del pugilato era vietata nello stato del Texas) non lo dissuase dall'intraprendere la carriera sportiva ; costretto ad affrontare numerosi pugili bianchi prima di poter competere con il canadese Tommy Burns, Johnson vinse il titolo dei massimi il 26 dicembre 1908 divenendo il primo nero detentore di un titolo mondiale; nel 1920 aprì ad Harlem il night club che sarebbe poi divenuto, sotto la gestione del gangster Owney Madden, il noto "Cotton Club" .
Nel 1928, a 50 anni, Johnson abbandonò il pugilato professionistico chiudendo la sua carriera con 349 vittorie su 350 incontri sostenuti.
il leggendario Johnson è stato celebrato da Miles Davis nell'album "A tribute to Jack Johnson"(1970).
(2) pg 19

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Friday, January 25, 2008

C- Ridley Scott: American Gangster

1968; la morte del vecchio gangster Bumpy Johnson , ex padrino di harlem, lascia il quartiere in subbuglio; Frank Lucas (uno strepitoso Denzel Washington talvolta penalizzato dai dialoghi tradotti in maniera inspiegabile) autista, fattorino ed esattore del vecchio boss, decide di approfittare della situazione instabile per mettersi in proprio. Da sempre coinvolto nel traffico di stupefacenti, l’afro-americano decide di sfruttare le basi militari americane in Vietnam per trasportare negli USA l’eroina acquistata direttamente dai produttori Thailandesi; la formula si rivela vincente e Lucas, inventore della “Blue Magic” (“una droga due volte più pura della normale eroina in circolazione, e venduta ad un prezzo due volte più basso…”), fa soldi a palate, trasporta l’intera famiglia a New York dalla Carolina del Nord, diventa il più potente spacciatore d’America, ed infine trova un accordo con il siciliano Dominic Cattano, che gli promette la protezione della mafia dall’ira della “french connection”.

Richie Roberts (un Russell Crowe appesantito ma decisamente a suo agio nei panni dello sbirro duro ma onesto… ) è un detective della contea di Essex prestato ad una sezione speciale anti-narcotici, che nei momenti liberi (in genere studia per diventare avvocato, tenta di rimettere a posto i cocci della sua vita privata riconciliandosi con la moglie o si lascia consolare da una lunga serie di hostess, avvocatesse ecc. ) si trova ad indagare su Lucas e su un giro di poliziotti corrotti.

Follemente paragonato al padrino, “American Gangster” mette in mostra una serie di riferimenti convenzionali e anzi piuttosto banali al cinema di genere, che vanno dalle atmosfere alla “Serpico” alla scelta del brano “Across 110th street” di Bobby Womack (già sottofondo della sequenza iniziale di “Jackie Brown” di Quentin Tarantino, anch’esso incentrato sui traffici internazionali per via aerea), dai sintetici (e piuttosto retorici) affreschi della vita da night club, ai ben noti sodalizi tra mafia e mondo della boxe professionistica (nel film, oltre ad una nota intervista precedente all’incontro Ali-Frazer valevole per il titolo mondiale dei pesi massimi, compare anche Joe Louis, detentore del titolo per 12 anni, i cui rapporti con la mafia sono ben noti… (1)), passando attraverso un Josh Brolin (nei panni del corrotto detective Trupo) conciato come Nick Nolte nel classico “Terzo grado” di Sidney Lumet.
Ispirato alla storia vera di Frank “Superfly” Lucas ( a quanto risulta dal film uno strano gangster progressista e vicino al “black power”), girato in maniera piuttosto convenzionale (il che è comunque preferibile al montaggio da schizofrenici di cattivo gusto tanto in voga presso la famiglia Scott) affidandosi ad un ultra-collaudato ed ultra-prevedibile montaggio alternato di avvenimenti riguardanti Lucas e avvenimenti riguardanti Roberts, sostenuto dalla buona fotografia del quasi sconosciuto Harris Savides (in passato si occupava di videoclips), lungo ma privo di tempi morti (nonostante le sequenze d’azione siano molto ridotte rispetto alle quasi 3 ore di pellicola), “American Gangster” è un film discreto e piacevole, che ha il bel merito di impedire allo spettatore ogni idoleggiamento del cattivo Lucas: alle scene nelle quali il gangster viene ritratto come patriarca affettuoso pronto a fare di tutto per i fratelli poveri e la vecchia mamma, fanno immancabilmente da contrappunto sequenze che lo vedono artefice di una violenza fredda ed ingiustificata.


(1) sull’argomento mafia e boxe si veda per esempio il volume “Sonny Liston e il diavolo” di Nick Tosches.

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Monday, January 21, 2008

L- Jean-Patrick Manchette: Piovono Morti

Foto: Jean-François Balmer, Eugène Tarpon nell'adattamento cinematografico di "Un mucchio di cadaveri" per la regia di Jacques Bral (Fra, 1984)


Torna Eugène Tarpon, già protagonista del romanzo “Un mucchio di cadaveri”; l’ ex poliziotto reduce da numerose avventure è tornato alla solita vita: poco noto, trascurato dai clienti d’alto livello e sempre sull’orlo del fallimento, tira avanti risolvendo piccoli casi di secondo ordine.
Quando il commissario Coccioli gli invia la vecchia signora Pigot, interessata a recuperare la figlia scomparsa, il detective, che si sta occupando solamente della sorveglianza di una farmacia i cui dipendenti sono sospettati di piccoli furti alla cassa, accetta il caso di buon grado.
La scomparsa della giovane Pigot sembra legata ad una banale fuga d’amore, ma ben presto le cose si complicano e Tarpon, che ancora non immagina l’esistenza di un legame tra i due casi dei quali si sta occupando, si trova ad aver a che fare con trafficanti di droga, ex ghestapo francesi, membri di una misteriosa comunità religiosa e, come al solito, poliziotti corrotti…

“Piovono Morti” è la seconda incursione di Manchette nel campo della detective story classica; l’autore conferisce alla vicenda (come al solito non priva di risvolti politici che restano però giustamente sommersi o appena affioranti da un intreccio difficilissimo) un taglio da romanzo hard-boiled americano ricorrendo ad una serie di clichés del genere (1) e lasciando al detective il compito di narrare la vicenda in prima persona; fautore di una forma di radicale behaviorismo letterario (e dunque abituato a limitarsi all’azione dei personaggi) Manchette rifiuta la tentazione di consegnare direttamente al lettore le riflessioni del protagonista/narratore, complicando così la ricostruzione dei fatti.
Complesso ed articolato ma rapido e violento, “Piovono morti” è un ponte gettato tra la detective story classica americana degli anni ’40 e ’50 ed il poliziesco d’azione di serie B-Z prodotto in Europa tra gli anni ’60 e ’70.

Il romanzo “Piovono Morti” di Jean-Patrick Manchette è edito in Italia da Einaudi.




(1)La donna innamorata, l’inseguimento in automobile, la cattura del protagonista, i rapporti burrascosi con la polizia, l’ assoluta a-moralità dei metodi applicati dal detective nello svolgere il suo compito strettamente morale, rimandano in maniera palese ai romanzi della "cosiddetta scuola dei duri"…

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Saturday, January 12, 2008

L-James Lee Burke: Pioggia al neon

Bayou Teche, Lousiana; Dave Robicheaux, poliziotto di New Orleans tornato per un viaggetto di piacere nei luoghi della sua infanzia, rinviene il cadavere di una giovane prostituta di colore apparentemente affogata nella palude. La ragazza, Lovelace Deshotels, ha le braccia segnate da infiniti buchi e cicatrici; Robicehaux, commosso e rattristato dal ritrovamento, ma fuori giurisdizione, passa il caso alle autorità locali.Tornato a New Orleans, l’agente si mantiene in contatto con lo sceriffo di New Iberia, incaricato di far luce sulla faccenda, ma ben presto scopre che il caso Deshotels è stato chiuso senza ulteriori indagini; intanto la soffiata di un condannato a morte lo mette in guardia: se continuerà a indagare sulla ragazza dovrà vedersela con i colombiani…


“Pioggia al neon”, ambientato in zone "periferiche" (e quindi apparentemente escluse dal meccanismo di omologazione che ha coinvolto tutte le grandi metropoli), entra a pieno titolo nella recente ma consolidata tradizione del romanzo nero “rurale” americano, anche se, tra le pagine, l’ispirazione cinematografica (si tende a figurarsi Robicheaux come un Callaghan in versione Cajun, cinico ma incorruttibile, duro ma onesto ecc., e anche le scene d’azione hanno un taglio da action movie anni ’80...) sovrasta e anzi quasi cancella i pochi echi della grande letteratura degli stati del sud. Ambientato in luoghi descritti in maniera sommaria (1), anche se spesso con gusto , popolato da personaggi i cui sentimenti non sono sempre ben chiari, pronto a venire a patti con i lettori a qualunque livello (le due o tre scene di sesso che coinvolgono il protagonista Dave e la quasi-sconosciuta Annie, descritte con il fare ispirato e originale dei romanzi rosa di penultima categoria, si leggono con imbarazzo, e quasi riescono a rovinare un romanzo per il resto discreto, i ricordi d'infanzia del protagonista sembrano inseriti a forza ecc...), ma comunque scorrevole e gradevole nello svolgimento, “Pioggia al neon” non è un miracolo stilistico e non merita certo di essere paragonato a “L’ultimo vero bacio” di Crumley, “Non è un paese per vecchi” di McCarthy e altre perle del genere, ma forse neppure di essere lasciato a prendere la polvere sugli scaffali di una libreria…

Il personaggio di Dave Robicheaux è stato interpretato da Alec Baldwin nel film “I prigionieri del paradiso”(diretto da Phil Joanou, 1996 ); l’uscita di “Nella nebbia elettrica” diretto da Bernard Tavernier (Robicheaux sarà intepretato da Tommy Lee Jones) è prevista negli Usa per il 2008.

“Pioggia al Neon” di James Lee Burke, e tutti i romanzi del ciclo di Robichaux, sono in corso di ripubblicazione per Meridiano Zero.


(1)Peccato che la città venga evocata in maniera così imprecisa (attraverso gli odori della cucina Cajun o tramite alcune discrete descrizioni ambientali che tendono a perdersi dietro al ritmo frenetico dell’azione ), anche perché, quelli di noi che New Orleans non l’hanno vista, oramai non potranno più farlo…

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Tuesday, January 08, 2008

L- Joe R. Lansdale: L’ultima caccia

Texas, 1933; in città imperversa la grande depressione, ma per i braccianti della zona paludosa del fiume Sabine la vita non è più dura del solito. Richard “Ricky” Harold Dale, quindicenne primogenito di una famiglia di contadini, coltiva ( con poche speranze) il sogno di diventare scrittore;intanto, impegnatosi con il padre (che, ha momentaneamente abbandonato la famiglia per unirsi, in qulità di lottatore da fiera, ad una compagnia di artisti itineranti) a vegliare sulla madre incinta e sul fratello minore, insegue la maturità dando la caccia al “Vecchio Satana”, il più grande e crudele cinghiale che abbia mai attraversato la zona del Sabine.

“L’ultima caccia” di Joe R. Lansdale si pone sulla linea immaginaria che collega Twain a Faulkner ed Hemingway, a Salinger, a John Fante e al Bukowski di Ham on rye passando attraverso i racconti di London e quelli western di Crane, reclamando l'appartenenza alla grande tradizione del bildungsroman all’americana.
Pensato come omaggio o personale rilettura della vena giovanilistica e vitalista che attraversa, da Whitman in avanti, la storia della letteratura statunitense in maniera trasversale, scritto con un gusto tutto postmoderno per il tocco “vintage” nella scelta degli oggetti (il catalogo “Sears & Roebucks”, le riviste “Dime detective”, “Black Mask”, “Weird Tales” e “Doc Savage” (1)ecc), ma anche del linguaggio, “L’ultima caccia” è un romanzo piacevole, popolato da personaggi ben tratteggiati e credibili, giustamente stoici, irrimediabimente sognatori, onestamente allegri (nonostante la situazione esterna spesso disastrosa), e lontanissimi dall’artefatto, simulato, mediocre pensiero positivo tanto in voga negli ultimi tempi...
Non molto originale nella meccanica (anche perché l’autore gioca con i clichés tipici della letteratura e del cinema sulla grande depressione...) “L’ultima caccia” compensa pienamente con l’impagabile naturalezza delle opere realmente sentite.
Indimenticabile il colloquio nel quale il protagonista confessa a suo padre (ed a se stesso) di voler essere scrittore.

Un Lansdale ispirato e pienamente a suo agio, che non cade negli sporadici (ma spesso fastidiosi) esempi di immaturità stilistica che punteggiano il resto della sua produzione (si pensi a titolo d' esempio all’incipit di “L’anno dell’uragano”); unica nota discordante: come ogni texano antirazzista e progressista che si rispetti, l’autore tiene troppo a mostrarci i di essere politically correct, rischiando di convincerci del contrario…

L’ultima caccia di Joe R. Lansdale è edito da Fanucci.


(1) Le riviste citate, tra le più note nel loro genere, hanno contribuito alla nascita ed alla diffusione della letteratura commerciale americana alla quale Lansdale (e con lui ogni autore di genere) si richiama; accanto a "Black Mask" (che ha ospitato nomi di spicco dell’ Hard-boiled classico quali Dashiell Hammet, Raymond Chandler etc.), l'autore cita “Weird Tales” che pubblicava storie di genere Horror e Science Fiction (sulle pagine di Weird Tales apparvero, tra le altre, le opere di H.P. Lovecraft).
Joe Lansdale ha ampiamente testimoniato il suo amore per Horror e fantascienza nei due romanzi raccolti nel volume “La notte del drive-in”.

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Wednesday, January 02, 2008

L- Jean- Patrick Manchette: Pazza da uccidere

Julie Ballanger è stata malata; dopo un passato tormentato ha deciso di ricoverarsi nella clinica “anti-psichiatrica” del dottor Roselnfeld, ma ormai è guarita, ed è giunta per lei l’ora di tornare alla realtà.Contattata dal ricco ed eccentrico filantropo Michel Hartog, intenzionato ad assumerla come bambinaia per il pestifero nipote Peter, Julie lascia l’isitituto e si ritrova in una casa la cui servitù è interamente composta da malati di ogni genere…I rapporti con il piccolo Peter sembrano insolubilmente conflittuali , poi un gruppetto di malviventi guidati dal crudele Thompson (un tristissimo killer affetto dalla peggior forma di ulcera psicosomatica…) rapisce bambino e tata tentando di incastrare Julie…
Chi si nasconde dietro al falso rapimento di Peter Hartog?
I nervi di Julie saranno abbastanza saldi da permetterle di salvare se stessa e il bambino?

Pubblicato in Francia da Gallimard nel 1972, narrato con il solito piglio cinematografico, anti-psicologico e anti-descrittivo (attenuato qua e là per necessità narrative), veloce e rumoroso come una pellicola d’azione, “Pazza da uccidere” è il romanzo che ha regalato a Manchette la celebrità.
Strepitoso il senso del ritmo, e meravigliosa la protagonista Julie, anello mancante, mi diceva qualcuno, tra cenerentola e Bruce Willis…
Dal romanzo “Pazza da uccidere” è stato tratto nel 1975 il film “Folle à tuer” diretto da Yves Boisset ed interpretato da Marlène Jobert (Julie) e Thomas Milian (Thompson).

“Pazza da uccidere” di Jean-Patrick Manchette è edito in Italia da Einaudi.

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