C- Ridley Scott: American Gangster
1968; la morte del vecchio gangster Bumpy Johnson , ex padrino di harlem, lascia il quartiere in subbuglio; Frank Lucas (uno strepitoso Denzel Washington talvolta penalizzato dai dialoghi tradotti in maniera inspiegabile) autista, fattorino ed esattore del vecchio boss, decide di approfittare della situazione instabile per mettersi in proprio. Da sempre coinvolto nel traffico di stupefacenti, l’afro-americano decide di sfruttare le basi militari americane in Vietnam per trasportare negli USA l’eroina acquistata direttamente dai produttori Thailandesi; la formula si rivela vincente e Lucas, inventore della “Blue Magic” (“una droga due volte più pura della normale eroina in circolazione, e venduta ad un prezzo due volte più basso…”), fa soldi a palate, trasporta l’intera famiglia a New York dalla Carolina del Nord, diventa il più potente spacciatore d’America, ed infine trova un accordo con il siciliano Dominic Cattano, che gli promette la protezione della mafia dall’ira della “french connection”.
Richie Roberts (un Russell Crowe appesantito ma decisamente a suo agio nei panni dello sbirro duro ma onesto… ) è un detective della contea di Essex prestato ad una sezione speciale anti-narcotici, che nei momenti liberi (in genere studia per diventare avvocato, tenta di rimettere a posto i cocci della sua vita privata riconciliandosi con la moglie o si lascia consolare da una lunga serie di hostess, avvocatesse ecc. ) si trova ad indagare su Lucas e su un giro di poliziotti corrotti.
Follemente paragonato al padrino, “American Gangster” mette in mostra una serie di riferimenti convenzionali e anzi piuttosto banali al cinema di genere, che vanno dalle atmosfere alla “Serpico” alla scelta del brano “Across 110th street” di Bobby Womack (già sottofondo della sequenza iniziale di “Jackie Brown” di Quentin Tarantino, anch’esso incentrato sui traffici internazionali per via aerea), dai sintetici (e piuttosto retorici) affreschi della vita da night club, ai ben noti sodalizi tra mafia e mondo della boxe professionistica (nel film, oltre ad una nota intervista precedente all’incontro Ali-Frazer valevole per il titolo mondiale dei pesi massimi, compare anche Joe Louis, detentore del titolo per 12 anni, i cui rapporti con la mafia sono ben noti… (1)), passando attraverso un Josh Brolin (nei panni del corrotto detective Trupo) conciato come Nick Nolte nel classico “Terzo grado” di Sidney Lumet.
Ispirato alla storia vera di Frank “Superfly” Lucas ( a quanto risulta dal film uno strano gangster progressista e vicino al “black power”), girato in maniera piuttosto convenzionale (il che è comunque preferibile al montaggio da schizofrenici di cattivo gusto tanto in voga presso la famiglia Scott) affidandosi ad un ultra-collaudato ed ultra-prevedibile montaggio alternato di avvenimenti riguardanti Lucas e avvenimenti riguardanti Roberts, sostenuto dalla buona fotografia del quasi sconosciuto Harris Savides (in passato si occupava di videoclips), lungo ma privo di tempi morti (nonostante le sequenze d’azione siano molto ridotte rispetto alle quasi 3 ore di pellicola), “American Gangster” è un film discreto e piacevole, che ha il bel merito di impedire allo spettatore ogni idoleggiamento del cattivo Lucas: alle scene nelle quali il gangster viene ritratto come patriarca affettuoso pronto a fare di tutto per i fratelli poveri e la vecchia mamma, fanno immancabilmente da contrappunto sequenze che lo vedono artefice di una violenza fredda ed ingiustificata.
(1) sull’argomento mafia e boxe si veda per esempio il volume “Sonny Liston e il diavolo” di Nick Tosches.
Labels: Bobby Womack, Cinema, Cinema Americano, Denzel Washington, Frank Lucas, Narcotraffico, Richie Roberts, Ridley Scott, Russel Crowe
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