Wednesday, November 30, 2005

L- Erskine Caldwell: Un povero scemo

Qualche mese di vita di Blondy Niles, ex pugile squattrinato convinto da un manager senza scrupoli a tornare sul ring per un paio di incontri truccati a sua insaputa.
Blondy è “un povero scemo”, un uomo inadatto alla vita, uno deciso a gettarsi solo contro un piccolo gangster per vendicare la donna amata, pronto anche a rimetterci la vita.
Il romanzo scorre come un torrente torbido, evocato di fronte ai nostri occhi dal consueto stile minimale e graffiante tipico di Caldwell.
Più breve, ma non meno efficace delle opere più note (“La via del tabacco”, “Fermento di luglio”, “Il piccolo campo”), questo piccolo capolavoro abbandona l’ambientazione agricola a cui Caldwell ci ha abituati per concentrarsi su una città popolata da prostitute e gangsters, cliniche illegali e piccola criminalità.
I cittadini del romanzo (fatta eccezione per i due personaggi femminili di Luise e Doroty, decisamente positivi) risultano non meno crudeli, perversi e ignoranti dei contadini che popolano il resto della produzione caldwelliana.
Le incursioni nel "grottesco" sono semplicemente eccezionali (si pensi al discorso del Signor Boxx sul rapporto tra i vivi e i morti).
La classica forma “in tre atti” (perfettamente rispecchiata dalla tripartizione dell’opera) fa di quest’opera l’archetipo del romanzo americano clasico.

Quanto dovremo aspettare prima che qualche casa editrice si decida a ripubblicare le opere di Caldwell?

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Tuesday, November 29, 2005

C- Roberto Benigni: La tigre e la neve

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Benigni sorprende, si ma per la banalità. Dopo un avvio assolutamente immeritato (la meravigliosa performance di Tom Waits), il film comincia rapidamente a portarci dove vuole, e cioè da nessuna parte; si tratta di uno dei più strepitosi tours-de-force nella banalità apparsi ultimamente sugli schermi, almeno considerando la gamma dei film d'autore (o presunti tali). In effetti passiamo rapidamente da un'aula d'università in cui ci viene rivelata l'improbabile storia d'amore tra Benigni e la biondona di turno, a un paese in guerra chè si fa improbabile scenario per soldati americani spiritosi, pieni di cuore e amanti della poesia (forse quelli che passano gli oscar?) e "indigeni" assolutamente invisibili (se non per essere d'aiuto al nostro eroe). La parte di Jean Reno è ben recitata ma piatta e poco sviluppata (non si capisce come mai il poeta arrivi al suicidio), gli altri personaggi sono sagome senza spessore, persino l'amata Nicoletta Braschi (prima o poi cambierà mestiere?) è mero strumento per il rovesciamento finale che vorrebbe sconvolgere lo spettatore, mentre al limite lo lascia indifferente(e forse un po' istupidito). Bisognerebbe consigliare a Benigni di cercare luoghi e mezzi più adatti alle sue eterne dichiarazioni d'amore nei confronti della moglie. "La morale sta nel porre l'amore sopra di tutto" dicono, ma chi potrebbe rimproverare ad una qualunque donna "sana" di aver lasciato l'Idiota in versione Benigni?
Il grande successo ottenuto da questo film al botteghino, oltre che sottolineare una certa visibile decadenza del gusto, parla chiaro: Il pubblico non chiede di meglio che di vedere applicate formule già trite e ritrite, non cerca un confronto, ma una rassicurazione.

In chiusura una nota a Ciampi, che nel consegnare le onorificenze di "Cavaliere di gran croce" a Benigni (si veda "la Repubblica", 4 giugno 2005) avrebbe parlato di "investire sulla cultura": C'è caso e caso, in questo caso specifico, più che investire sulla cultura,sarebbe opportuno "investirla"....

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L- James Ellroy: Los Angeles nera

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Sotto il nome di Los Angeles Nera mondadori ripropone la trilogia del sergente Loyd Hopkins, personaggio a metà strada tra un orso moralista, e un marito fedifrago mentalmente disturbato.

Nonostante gli sforzi compiuti dall’autore per rendere la narrazione interessante (flashbacks, focalizzazione multipla ecc.), solamente il primo dei tre romanzi (“le strade dell’innocenza”) risulta discreto (se non appena leggibile); sulla qualità degli altri due romanzi (“Perché la notte” e “La collina dei suicidi”)meglio sorvolare.

Stile e intreccio dei tre romanzi ricordano più i telefilm polizieschi di basso livello che i grandi romanzi noir.

La lettura di questo “capolavoro” di Ellroy, autore decisamente acclamato, e spesso in cima alle classifiche, non può che confermare l’assunto secondo il quale “neo-noir”(almeno nella sua forma americana) sarebbe sinonimo di mediocrità.

Il lettore incredulo e perseverante si renderà conto che attività come l’uncinetto o la pesca hanno un valore culturale maggiore rispetto alla lettura di quest’opera.

Per concludere, un’ultima nota va alla scelta della mondadori, che traducendo il titolo originale “L.A. Noir” in “Los Angeles nera” ha privato l’opera della sua caratteristica di maggior pregio.

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Monday, November 28, 2005

L- Kenneth Fearing: Il Grande Orologio


Kenneth Fearing, negli anni ‘30/‘40 già apprezzato poeta modernista, si dedica per motivi economici (e su questo i critici, che evidentemente non mangiano, non smetteranno mai di puntare il dito) alla narrativa Pulp; dobbiamo forse per questo cedere all’impulso di ignorare queste sue opere narrative, considerandole indegne in confronto alla sua produzione poetica?Naturalmente no.

Se da un punto di vista puramente stilistico non si trovano grandi virtuosismi, se le descrizioni fisiche dei personaggi (si pensi a quella iniziale della Delos) risultano talvolta eccessivamente manierate, fino a suonare parodistiche, sotto altri aspetti, “il grande orologio” è un opera impedibile per tutti gli appassionati del genere, e per chiunque abbia un qualche interesse nel campo della narratologia.

Un primo aspetto importante è quello relativo al sovvertimento della normale struttura del genere poliziesco:L’ improvvisato detective non opera qui uno svelamento dei fatti, una chiarificazione, ma anzi, si limita a dei tentativi più o meno fortunati di depistaggio ( così come nel selezionare una squadra di collaboratori sceglie quelli che ritiene meno adatti ad un qualsivoglia incarico investigativo).

Più ancora del suo eccedere e sovvertire le regole del genere, ciò che interessa qui è la dimensione narrativa, ed è secondo l’aspetto della narrazione, della pianificazione dell’opera, della creazione dell’intreccio, che “il grande orologio” si rivela per ciò che è, un piccolo capolavoro di oreficeria.

Come giustamente ci fa notare Luca Conti nell’ottimo saggio posto in appendice all’edizione Einaudi (collezione noir), la narrazione si realizza attraverso la categoria genettiana della focalizzazione interna multipla: Una serie di narratori offrono in prima persona la loro visione dei fatti; i loro pensieri, le loro aspettative e le loro intenzioni sono per così dire “trasparenti” al lettore.

La narrazione è costruita con una perizia tale da offrire al lettore, una visione completa dei fatti, cosa che è negata, se non a tutti i personaggi, alla maggior parte di essi.

Quest’opera dichiara, e dichiara tutto apertamente (in questo senso la soluzione narrativa può essere considerata antitetica rispetto a quella applicata da Woolrich nel già considerato “La donna fantasma”).

Se l’opera di Woolrich era decisamente costruita intorno all’effetto sorpresa dovuto al rovesciamento finale, nel grande orologio è la suspence a farla da padrona, la condizione privilegiata del lettore fa si che egli si carichi di aspettative e preoccupazioni nei confronti del protagonista/narratore principale, fino al rassicurante finale.

“Il grande Orologio” è stato oggetto di due trasposizioni cinematografiche (“Il tempo si è fermato” di John Farrow (1948), “Senza via di scampo” di Roger Donaldson (1987)) ed è stato ampiamente citato da Joel ed Ethan Coen nel lotro “Mister Hula-Hoop” (1994).

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Wednesday, November 23, 2005

L- Cornell Woolrich: "La donna fantasma"


La donna fantasma è un piccolo capolavoro di scrittura cinematografica, fatto di ellissi e di bruschi cambi di ritmo, di focalizzazione esterna, un romanzo che mostra, senza mai dichiarare; l'autore stesso non ne fa mistero, ricorrendo in più d'un' occasione a metafore di stampo cinematografico, e talvolta (come nella scena in cui una donna è presa tra il suo assassino e un paio di fari puntati come riflettori cinematografici) arriva a invertire il classico rapporto Letteratura-Cinema reintroducendo quest'ultimo nella prima.
Data la qualità della scrittura, non stupisce che un buon numero di romanzi e racconti di Woolrich siano stati oggetto di trasposizioni cinematografiche più o meno fortunate (es. "la finestra sul cortile" di Hitchcock, "la donna fantasma" di Siodmick e "la sposa in nero" di Truffaut).
Lo stile asciutto di Woolrich non si distacca dall' essenzialità tipica del Noir classico (con l'ovvia eccezione del più ricco tono chandleriano), se non forse per una certa disposizione alla riflessione (evidentemente radicata nell'autore, e non nei personaggi) che fanno di lui "il meno duro della scuola dei duri".
La trama funziona in maniera quasi miracolosa, come un'orologio del quale non si riescano ad intuire gli scatti...
I mutamenti di ritmo, ai quali si è già accennato seguono l'esempio del grande cinema classico; se l'azione (dove non è messa in ellissi) diventa fulminea, le pause, le attese risultano snervanti.
Le uniche due note negative vanno al personaggio di Carol Richman "la ragazza", che esce quasi piatto da un processo di idealizzazione, e al lungo, didascalico finale attraverso il quale gli ultimi dubbi e le perplessità del lettore vengono sciolti.

La donna fantasma vale certamente la pena di essere letto, non per i suoi personaggi, non per i suoi luoghi, forse neppure per i fatti, ma per la scelta stilistica di seguire, nei diversi capitoli, ora un personaggio, ora altro, come una macchina da presa persa in una serie di soggettive, o impegnata a seguire un solo personaggio alla volta, e molto attenta a sottrarre, ad occultare, fino all'inatteso finale.
La penna di Woolrich non pone il lettore in una posizione privilegiata, favorevole, ma semmai nella più sfavorevole possibile.

Per chiudere, una delle domande che tengono sveglio il lettore durante la lettura: "come si fa ad affidarsi ad un ingegnere che si improvvisa investigatore, quando c'è in ballo la propria vita?"
Già, perchè gli ingegneri sono fermamente convinti che la linea retta sia la via più breve tra due punti, mentre tutti i lettori con un minimo di esperienza nel genere noir sanno che spesso non esiste nessuna linea retta che congiunga il punto di partenza, e quello al quale non si può fare a meno di arrivare.

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Tuesday, November 22, 2005

Jean-Claude Izzo, "Il sole dei Morenti"

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In un mondo in cui il contrario di integrato sembra irrimediabilmente destinato a essere "dis-integrato", Izzo ci racconta gli ultimi giorni di vita di Rico, un clochard deciso a morire al sole; In un caledoscopio di fatti, sensazioni, di colori e profumi .





(IN LAVORAZIONE)


NOTA: non finirò mai di ringraziare Sara per avermi regalato questo libro.

CIAO A TUTTI

Ciao a tutti.
Il mio Blog apre i battenti... Se lui sopravvive ( e se sopravvivo io) lo utilizzerò come raccoglitore per le mie riflessioni critiche ( suona piuttosto noioso no?) su cinema, musica, letteratura ecc.
grazie per avermi visitato.



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Edward Hopper: Nighthawks