Tuesday, March 31, 2009

L- Giuseppe Genna: Catrame



Milano, anni ’90. La questura è sotto pressione: il brigatista nero Cerfoglio è riuscito ad evadere dal “sicurissimo” carcere di Opera (per di più in un modo assurdo, compiendo parte del tragitto allo scoperto e saltando un muro sotto gli occhi delle guardie), l’opposizione ha colto la palla al balzo, il questore Santovito hai i giorni contati, e la sua estromissione rischia di ripercuotersi sul ministero della giustizia. Gli agenti dei servizi segreti hanno invaso gli uffici di via Fatebenefratelli, e gli uomini della polizia non hanno sufficiente libertà di movimento per portare avanti le indagini. E, come se non bastasse, Santovito ha affidato all’ispettore Guido Lopez, uno dei suoi uomini migliori, le indagini sul banale suicidio di un ex militante di sinistra, Massimo Pessina, apparentemente un pedofilo, toltosi la vita all’interno di una misera casa popolare di Calvairate. Ma perché impegnare Lopez in indagini su un caso così banale? È un ordine dei servizi, o Santovito spera di individuare una pista per risolvere il "problema Cerfoglio"? Ma è poi possibile che l’evasione di un brigatista nero e il suicidio di un pedofilo siano collegati?

Opera di fiction che trae le sue basi dalla oscura situazione politica dell’Italia appena uscita dagli anni ’80 (ma ancora vittima dei ’70), Catrame ha per modello teorico i romanzi dell’Ellroy “politico” (due su tutti: American Tabloid(1) e Sei pezzi da mille) ma se ne allontana nelle scelte stilistiche: mentre le pagine dell’autore di L.A. Confidential sono segnate da un quasi-beat che ha il suo fondamento nei romanzi di Hubert Selby Jr., l’opera di Genna è costruita su una lingua apprezzabilmente “ristretta”, ma rifinita e strutturata.
In Catrame, al di là dell’indubbio valore estetico e dell’innegabile potenziale d’intrattenimento della trama poliziesca dagli snodi "classici", si fa strada quello svelamento delle dinamiche sommerse(2) che per decenni hanno turbato la storia d’Italia, che si è in seguito affermato come aspetto centrale nella definizione della nuova letteratura nazionale. Se è fittizio l’intreccio, non lo è la lettura dei rapporti politici che lo regge e lo rende possibile: il romanzo svolge allora anche un ruolo pedagogico, in quanto si fa promotore di una visione del mondo che, imponendo di ricercare le trame oscure del potere dietro ai “semplici” fatti storici, segue il lettore fuori dall’universo diegetico e dentro al “mondo reale”.

Il romanzo Catrame di Giuseppe Genna è edito da Mondadori.



(1) Sull’argomento "Crime Fiction e svelamento" con particolare riferimento a James Ellroy, si veda l’articolo Crime: un bilancio, apparso su Il Manifesto, il 17.2.2009. (Ora ripubblicato su Carmillaonline e leggibile qui).
(2)Pensiamo, in particolare, agli invisibili sincretismi tra potere politico, servizi segreti e finanza.

Labels: , , , , , , , , , ,

Tuesday, March 24, 2009

C- Clint Eastwood: Gran Torino


Stati Uniti, oggi. Walt Kowalski, ex-militare decorato in Corea e operaio Ford in pensione, è arrivato al capolinea: rimasto vedovo e unico “bianco” in un quartiere popolare ormai pieno di immigrati, abbandonato dal figlio troppo occupato per prendersi cura di lui, e dalla sua odiosa famiglia, sembra pronto per l’ospizio. Con un vecchio cane come unico amico e una Gran Torino del ’72 (simbolo palpabile del suo orgoglio americano) come sola passione, Kowaski ha fatto dell’allontanamento, dell’esclusione, della denigrazione del “diverso” (1), una ragione di vita; nel quartiere tutti lo conoscono come un vecchio scorbutico e pericoloso, pronto a scacciare gli “invasori” individuati sulla sua proprietà a colpi di fucile. Finché l’incontro con due ragazzini asiatici del vicinato non lo costringe a rivedere le sue posizioni…

Gran Torino è, innanzitutto, la storia di un rapporto tormentato: quello tra gli immigrati americani di vecchio corso, sbarcati nei primi decenni del ‘900, e i protagonisti di ondate più recenti, raccontata attraverso le relazioni di un vecchio polacco con i suoi vicini asiatici. Questa prima riflessione lascia, però, ben presto spazio ad altre considerazioni: Kowalski, infatti, non è un cognome polacco "qualunque", ma anche il nome dell’indimenticato e indimenticabile protagonista della pièce A streetcar named Desire di Tennessee Williams, divenuto, complice la notissima trasposizione cinematografica di Elia Kazan(2), una vera e propria icona della maschilità manesca, sensuale, virile, violenta, carnale(3). E ai caratteri di questa virilità antica, il Kowalski di Gran Torino, pur con qualche ruga e acciacco, corrisponde perfettamente: lo si vede fermo in piedi in mezzo allo schermo, pronto a fronteggiare gli attacchi (verbali, almeno in principio) di una banda di piccoli balordi, l’aria da Ispettore Callaghan invecchiato, ma la sua redenzione è già in atto. Sì, perché in terzo luogo, ed è questo l'aspetto principale del film, Gran Torino risponde, con ovvia attenzione per la dimensione morale, al filone del romanzo di formazione. Il trito (il che non significa definitivamente esausto) canone del romanzo di formazione nel quale l'anziano impara dai giovani, applicato ad una sceneggiatura non molto originale, avrebbe forse rischiato di tradursi, in mano ad altri registi, in un prodotto di bassa lega: nella declinazione eastwoodiana, da invece origine alla consueta narrazione lucida e meravigliosa, sommessamente riflessiva, sempre in bilico tra il poetico e il banale. In questo caso spiccano la bella, sconsolante, ricostruzione della solitudine connessa alla vecchiaia, le dinamiche perfette dell’anti-americana maturazione dello scorbutico protagonista, che dopo aver scoperto il “nemico” in famiglia (figlio e nuora pronti a rinchiuderlo, a dispetto della sua ovvia vitalità, all’ospizio; nipote che incomincia ad avanzare timide pretese sull’eredità ecc.), ritrova il “familiare” nei gentili vicini, inizialmente accomunati ai vecchi avversari coreani.
Racconto morale impreziosito da meravigliose parentesi western(4), pronto a risolvere l’infinita tensione americana tra rispetto della legalità e ricorso alla “giustizia fai-da-te”, con la proposta (ma, in fondo, chi può dire quanto sia seria e universalizzabile...) di un’originale e inattuale etica del sacrificio attraverso la quale i “vecchi” consegnano ai “giovani” un mondo migliore; completato da fotografia perfetta, taglio piacevolmente classico delle inquadrature, incredibile senso del ritmo (questo a dispetto dell’intreccio poco articolato) e realizzato con mezzi apprezzabilmente moderati, Gran Torino è un film perfetto, ennesima prova registica -incredibilmente riuscita- di un Eastwood che minaccia sempre di smettere e poi, per fortuna, non lo fa mai.



(1) Nel senso esteso ed inclusivo di razza, colore, sesso, nazionalità…
(2) La trasposizione di Kazan (1951) è tanto nota che ormai, nell'immaginario collettivo, Stanley Kowalski ha le fattezze di un Marlon Brando al massimo della forma.
(3) E attraverso questa citazione il film si apre ad una moderna revisione, ad un ammorbidimento delle classiche, rigide, definizioni di "genere": a Kowalski, rappresentante del “vecchio” maschio forte (chi meglio di Eastwood, da sempre legato al politcamente scorrettissimo “Dirty Harry” o alle figure di cavaliere solitario in salsa western?), fa da contraltare il giovane Thao, personaggio timido, pacifico, imbranato, la cui integrazione passa, non a caso, attraverso la sospensione delle attività femminili (es. il giardinaggio) e la scoperta del "duro" lavoro manuale, come luogo della creazione di una nuova identità nazionale "americana" attraverso una momentanea adesione ad un modello maschile “classico”.
(4) Si veda, per esempio la riproposizione del classico “duello suicida” in una versione "moralizzata"; se ne Il Mucchio Selvaggio, che del topos in questione fornisce uno degli esempi più noti, l'ultimo duello viene intrapreso con l'incoscienza, la "leggerezza" tipica dei membri della banda, come "ultima prova" (per quanto prevedibilmente fallimentare...), in Gran Torino il "suicidio" è premeditato, e serve ad accelerare i tempi per una soluzione "legale" del conflitto tra Thao e i suoi connazionali. Nella costruzione del finale, Eastwood gioca sui particolari in ellissi, racconta in maniera reticente, senza mai rivelare le reali intenzioni del protagonista, e istituisce, così, una funzionale ambiguità tra i modi e i riferimenti del western classico, e la soluzione di Kowalski. Rivista a posteriori la voluta ambiguità narrativa testimonia, in maniera riuscitissima, l'incertezza del protagonista, e sposta in primo piano il momento strettamente morale della scelta.

Labels: , , , , , , , , ,

Thursday, March 12, 2009

L- Richard Brautigan: Il mostro degli Hawkline


Alla fine dell’enorme cumulo di vestiti, c’era una testolina che sbucava dalla camicia. Il colletto della camicia gli circondava la testa come un hula hoop. L’espressione di quieto riposo di chi è andato, come dicono, al cospetto del Creatore, era rimasta inalterata sul viso del maggiordomo nel passaggio da gigante a nano, solo che chiaramente era molto più piccola.(1)


Usa 1902. Strani avvenimenti turbano la villa degli Hawkline, una grande e tetra dimora vittoriana costruita su cave di ghiaccio misteriosamente poste nel bel mezzo del deserto: il padrone di casa, professore ad Harvard e brillante scienziato(2) impegnato in una serie di esperimenti chimici di importanza vitale per il futuro dell’umanità, scompare nel nulla durante una seduta nel suo laboratorio, e un invisibile mostro inizia ad attentare alla tranquillità dei superstiti.
Le due figlie del professore, rimaste sole ma intenzionate a portare a termine l’esperimento paterno, e stufe di sottostare ai dispetti del misterioso (ma apparentemente inoffensivo) mostro, assoldano Greer e Cameron, due imbattibili killer girovaghi…

Il mostro degli Hawkline è un romanzo vivido, comico, sperimentale, folle, che riporta alla mente, per associazione, i brani del Dylan cantore psichedelico e brillante “sinestesista” (quello di Stuck inside of Mobile with the Memphis blues Again e dell’incredibile “there's only one I've met/ an' he just smoked my eyelids/ an' punched my cigarette” (3)), attraversato da velate (ma innegabili) riflessioni contro-culturali(4), e pieno zeppo di riferimenti e topoi del western-pulp, del romanzo gotico(5), della letteratura fantastica (6) opportunamente sformati in una parodia che alterna i generi senza mai miscelarli, amplificando al massimo gli effetti grotteschi.
La meravigliosa traduzione di Enrico Monti, assolutamente fedele al lessico e alle strutture semantiche americane, consolida, così come avviene nella versione originale, sul piano stilistico, il carattere straniante (verrebbe da dire “spaesante”(7)) della narrazione.

Il mostro degli Hawkline
di Richard Brautigan è edito in Italia da ISBN.



(1) Richard Brautigan, Il mostro degli Hawkline, ISBN, Milano 2008, p. 129.
(2) Ma forse, piuttosto, alchimista impegnato, con finalità diverse, in un folle esperimento formalmente analogo a quello tentato dal malvagio antenato che scatenava le oscure presenze in The case of Charles Dexter Ward di H.P. Lovecraft.
(3) Rischi connessi al progresso scientifico, male “morale” che rinasce all’interno delle comuni (quella dei “Chimici”), incertezza dell’identità (le due gemelle indistinguibili che cambiano nel tempo ma rimangono pur sempre identiche a se stesse), consumismo e produzione di massa (i mille ombrelli neri che invadono la casa), feticismo degli oggetti (l’assurdità psicanalitica del portaombrelli-genitore), società e controllo del pensiero, sono solo alcuni dei temi (spesso deformati, sotto il filtro comico e la patina onirica del romanzo, fino ad una quasi completa illeggibilità), sepolti sotto l’imprevedibile Mostro degli Hawkline.
(4) “Ne ho incontrato solo uno/, ma si è solo fumato le mie palpebre/ e ha preso a pugni la mia sigaretta”.
(5) Il gotico britannico, sradicato dalla sua patria geografica e “malamente” innestato in un deserto nord-americano, senza nessun tentativo di ammorbidimento degli ovvi contrasti (che ci fa una casa vittoriana nel bel mezzo di uno sfondo western? E le cave di ghiaccio in mezzo al deserto?
(6) Si ritrovano, per limitarsi agli esempi più ovvi, eco da Alice nel paese delle meraviglie e Frankenstein, da Il giro di vite, e The case of Charles Dexter Ward, ma anche atmosfere e dialoghi usciti dritti dritti da quel piccolo capolavoro di auto-biografia sognante e romanzata che è Avventure nel commercio delle pelli del gallese Dylan Thomas.
(7) Questo carattere “spaesante” è per lo meno singolare se si considera che in ambito classico il genere era trattato come un insieme di regole stilistiche e tematiche codificate alle quali il produttore era tenuto ad adeguarsi, come per un tacito accordo, per garantire al fruitore (amante di un determinato genere) il gradimento dell’opera proposta. L’operazione di Brautigan, di segno opposto, non sarà forse originale (tentativi anche più “fini” di allargamento, di sovvertimento delle regole, condotti dall’interno dei generi, erano da tempo all’ordine del giorno), ma è ben recepita (un ovvio omaggio può essere rintracciato, ad esempio nel romanzo Fuoco nella polvere di Joe R. Lansdale, scritto nel 2001 ma proposto ai lettori italiani, per iniziativa di Fanucci, solo nel 2008) ed efficace: l’inattesa assurdità fiabesca del racconto spiazza il lettore e lo costringe a interrogarsi sulla realtà “veramente” distorta e “spaesante”, quella extra-diegetica.

Labels: , , , ,

Tuesday, March 10, 2009

L- Angelo Petrella: Napoli Nera


Recentemente riproposti in edizione tascabile nel volume Napoli Nera, Cane Rabbioso e Nazi Paradise, primi due romanzi del giovane noirista napoletano Angelo Petrella.

In Cane Rabbioso (2006), uno sbirro napoletano corrotto e tossico, poeta di sinistra e assassino a tempo perso, si trova costretto, per sottrarsi ad un’ingiusta accusa di omicidio, e per non essere eliminato da alcuni amici che fanno parte di un misterioso gruppo fatto di uomini dell’esercito, della polizia, della digos e dei “servizi”, un gruppo segreto che “esiste da sempre, è sempre esistito” ed “esisterà sempre”(1), a passare al contrattacco: lo farà a modo suo, con l’aiuto di massicce dosi di alcol e stupefacenti, senza paura di sporcarsi le mani, e cogliendo l’occasione per far saltare la testa di un capo “poco attento alle sue esigenze”…

Lo stile del romanzo è rapido, anti-descrittivo(2) ritmato, spezzato. Le frasi dalla sintassi deformata, pronunciate o pensate ad alta voce da un individuo costantemente sottoposto all’effetto di stupefacenti, rimandano perfettamente la “chimica” interiorità del protagonista e trascinano il lettore in una vicenda tanto veloce, bruciante, (positivamente) disgustosa, freddamente razionale, da permettere (e anzi quasi forzare) la rivalutazione di un personaggio totalmente scorretto e immorale.

In Nazi Paradise (2007) “Dux”, giovane ultrà che pratica la violenza calcistica in maniera programmatica, naziskin e hacker accusato di truffa informatica (si parla di “un paio di operazioni fatte su due conti scoperti del Monte dei Paschi di Siena”(3), per un totale di oltre 20 mila euro), viene ricattato da un commissario della polizia di Napoli che vuole servirsi delle sue doti per recuperare, nel corso di una chiassosa festa di compleanno di giovani borghesi, dei dati sepolti in un hard-disk quasi inaccessibile. Ma Dux sarà poi in grado di mimetizzarsi tra i figli dell’alta borghesia napoletana? E aiutare la polizia non vuol dire forse tradire i camerati? E, ancora, perché due rispettabili poliziotti dovrebbero arrivare a ricattare un giovane disadattato? Non sarebbe più facile servirsi di qualche agente?

La sintassi da “esaltazione tossica” di Cane Rabbioso cede il passo, in Nazi Paradise all’auto-narrazione informale, colloquiale, gergale, limitata, di un protagonista violento e politicamente insopportabile, ma ancora pronto ad imparare dalla vita e quasi commovente nella sua assoluta, innocente, ignoranza.
Sulla interessante trama gialla di Nazi Paradise, narrato, come Cane Rabbioso, in prima persona, ma rispetto a questo meno estremo e violento, e dunque considerato, da alcuni recensori, meno efficace, si innestano gli insospettabili motivi del romanzo di formazione: il fulcro del secondo lavoro di Petrella non sta infatti tanto nel gradevolissimo intreccio spionisticio, nel racconto di un tradimento dei compagni, o di una serie di tradimenti subiti, quanto nella dura e incerta maturazione del giovane Dux attraverso una serie di difficili scelte morali.

L'agilissimo (ma originale e riuscitissimo, tematicamente e stilisticamente) volume Napoli Nera è edito da Meridiano Zero.


(1) Angelo Petrella, Cane Rabbioso, in Napoli Nera, Meridiano Zero, Padova 2009, p. 40.
(2) La familiarità con i luoghi appiattisce quasi completamente, o spinge in secondo piano, lo spirito di osservazione; è dunque corretto rendere, come fa Petrella, e con lui tutta una serie di autori nuovi e vecchi del nero internazionale (non a caso proprio all’interno del poliziesco il minimalismo ha trovato alcune delle sue prime applicazioni “popolari”), il disinteresse dei personaggi nei confronti del loro ambiente vitale, attraverso l’eliminazione dei brani descrittivi.
(3) Angelo Petrella, Nazi Paradise, in Napoli Nera, Meridiano Zero, Padova 2009, p. 69.

Labels: , , , , , , , , , , ,

Friday, March 06, 2009

L- Stuart Kaminsky: Assassinio sul sentiero dorato


“L’ascensore si fermò al nono piano con un cigolio. Decisi che avrei messo il mio uomo alle strette con qualcosa di molto vicino alla verità. Magari l’avrei fatto arrabbiare al punto che si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa. Non riuscivo a immaginare la scena di me che usavo la forza contro un nano, ma probabilmente ne sarei stato capace. Forse sarei riuscito a spingerlo a farmi arrabbiare quanto bastava.” (1)

1940. Toby Peters, ex poliziotto dell’LAPD, ex buttafuori ed ex responsabile della sicurezza per conto della “Warner Brothers”, si guadagna da vivere come investigatore privato risolvendo casi di quart’ordine. Per risparmiare sulle spese, ha per ufficio una stanza in sub-affitto nello studio di un’improbabile dentista. Quando Louis Mayer, proprietario della notissima casa di produzione cinematografica “Metro-Goldwyn-Mayer” lo convoca nei suoi studios per affidargli le indagini sulla morte di una comparsa, Peters accetta senza esitazione: quello che non sa, è che il suo nuovo datore di lavoro lo ha scelto sperando che facesse pressioni sul fratello Phil (membro dell'LAPD ufficialmente incaricato delle indagini), per convincerlo a mantenere il silenzio sulla faccenda. Ma il signor Mayer non sa che i rapporti tra Toby Peters e suo fratello non sono dei migliori…
Impegnato nelle indagini sulle morte di un nano travestito da “marameo”, ritrovato cadavere, a più di un anno dalla fine delle riprese, sul set del film Il mago di Oz di Victor Fleming, e costretto ad agire senza l'aiuto delle autorità, lo scalcagnato detective si troverà nel mirino di una serie di maldestri gangster, e, prima della soluzione del caso, (risolto anche grazie alla collaborazione di un aiutante d’eccezione: il padre dell’hard boiled Raymond Chandler) salverà la vita alla giovane Judy Garland, vero e proprio simbolo dell’innocenza nella Hollywood degli anni ’40…

Romanzo breve, ben scritto (anche attraverso un recupero del lessico tipico dell’hard boiled delle origini che ahimè, in parte si perde in una traduzione non sempre all’altezza del testo), surreale, politicamente scorretto come lo si poteva essere solo negli anni '40, follemente ironico, ma anche piuttosto prevedibile nello svolgimento strettamente giallo(2), Assassinio sul sentiero dorato trae buona parte del suo fascino dalla dimensione meta-narrattiva, dal riuso, in funzione d’omaggio, di modi, toni, personaggi, situazioni, soluzioni narrative ed escamotages tipici del noir degli albori (3).
Gli aspetti meno credibili del genere (infallibilità e quasi immortalità, irresistibile fascino dell’eroe ecc.) sono qui deformati, secondo una certa tendenza del noir post-moderno (4), con un fare farsesco e vivace, come a voler correggere il difetto di realismo attraverso l’esagerazione dei tratti comici e incredibili.

Romanzo noir che coniuga La sorellina di Chandler con l'ironia (che deforma l'affresco storico, ma senza riuscire a cancellarlo) dei Racconti di Pat Hobby di F. Scott Fitzgerald, il surrealismo di Brautigan con la durezza di Hammett, Assassinio sul sentiero dorato, di Stuart Kaminsky, edito in Italia da Einaudi, è Il libro che ogni filologo, amante del genere e feticista del cinema classico dovrebbe avere nella sua libreria.




(1) Stuart Kaminsky, Assassinio sul sentiero dorato, Einaudi, Torino 2005, p. 115.
(2) Le trovate surreali abbondano, ma la trama gialla, costruita attraverso un collage di clichés d’epoca risulta, per gli appassionati del genere, piuttosto prevedibile.
(3) Pilastri della moderna narrativa poliziesca quali Hammett, Chandler, Latimer, Mickey Spillane (anche nella trasposizione cinematografica: l’ambiente della palestra riporta alla mente il club sportivo di Un bacio e una pistola di Robert Aldrich) sono qui riletti con gli occhi del moderno scrittore-lettore, evidentemente sofferente, come molti fanatici del genere, di una bulimia basso-letteraria che ha trovato il suo luogo elettivo nell’America degli anni ‘40/’50, segnata dal fenomeno culturale della letteratura pulp.
(4) Pensiamo non solo al noto Hector Bélascoaran di Paco Ignacio Taibo II, ma anche al meno fortunato (perché sottorappresentato in Italia) C. Card, protagonista dell’incredibile Sognando Babilonia di Richard Brautigan (Marcos y Marcos). In ogni caso, questo scarso realismo dei romanzi noir degli albori, ormai vero e proprio luogo comune della critica letteraria di genere, andrebbe ripensato: sembra infatti il riflesso di una valutazione negativa della letteratura (soprattutto cinematografica) successiva ispirata ai romanzi dell’epoca, retrospettivamente proiettata.

Labels: , , , , , , , , , , , ,