Saturday, April 05, 2008

C- James Gray: I padroni della notte

Una serie di fotografie in bianco e nero raffiguranti poliziotti del distretto di New York passano sullo schermo al ritmo lento di un brano jazz d’atmosfera; le immagini hanno un tono piacevolmente anni ’50. Dissolvenza. Stacco. New York, anni ’80, Blondie canta “Heart of Glass” (1), la musica passa attutita attraverso le pareti di un ufficio. Su un divano in velluto un uomo ed una donna in perfetta tenuta “disco” anni ottanta se ne stanno distesi. La macchina da presa percorre lentamente i corpi dei due salendo verso i visi. I due si slacciano…

Robert “Bobby” Green (Joaquin Phoenix) è una persona di successo: Gestore di una delle discoteche più alla moda di New York per conto del vecchio russo Buzhayev, che lo tratta ormai quasi come un familiare, il ragazzo ha grandi piani per l’avvenire, e poco importa se per stare dietro ad una professione redditizia ed agli amici che vivono al limite della legalità ha dovuto riprendere il cognome della madre, e nascondere a tutti la parentela che lo lega a Bert e Joe Grusinsky (rispettivamente suo padre e suo fratello), entrambi ufficiali della polizia.
Quando Joseph “Joe” Grusinsky (Mark Wahlberg) decide di fare irruzione nel locale gestito da Bobby per arrestare uno dei nipoti di Buzhayev, i rapporti già precari tra i due fratelli precipitano, ma poi, l’omicidio del padre, voluto proprio dalla mafia russa, riesce a riunirli sotto il segno della vendetta(2)…

Il film, scritto e diretto da James Gray (“Little Odessa”, “The Yards”) non brilla certo per originalità, e anzi mette in scena tutta quella serie di rassicuranti clichés che danno senso alla parola “genere”, eppure, nel suo essere intrattenimento puro e senza pretese, funziona, e anche piuttosto bene. Molto honkonghese la scelta di opporre i due fratelli, gangster uno e poliziotto l’altro, e poi “riconciliarli” in occasione dell’uccisione del padre(ricorda il primo capitolo della famosissima saga di “A Better Tomorrow”, firmato da John Woo)(3). Bella la fotografia (immagini vagamente sgranate e colori retrò), convenzionali inquadrature e montaggio.
Stanco e un po’ sottotono Wahlberg, mediocre la Mendes, a suo agio Phoenix, e meraviglioso Robert Duvall.
Un film prevedibile ma piacevole.


(1)Il brano, scelto da David Lynch per la pubblicità di una nota marca di cosmetici, ripescato dal fondo di tutti gli armadi, martoriato in svariati remixes, e poi addirittura ri-registrato in stile swing/vocal jazz anni ’40 dalle londinesi Puppini Sisters, sembra proprio tornato di moda…

(2)Qualcuno ha lamentato il recupero, sul finale, di un’etica da “era Bush”, e, certo, non si può dargli torto, in ogni caso, però, la violenza che chiude l’intreccio, appena accennata, è del tutto priva di compiacimento, e ci pare più sopportabile di tante altre brutture (si veda per esempio l’esaltazione del sacrificio di Robert Neville/Will Smith nel recente “Io sono leggenda”) del cinema americano contemporaneo…

(3) Ma i legami con il cinema di Hong Kong, a voler indagare a fondo, non si fermano qui: come dimenticare infatti la partecipazione di Mark Wahlbreg (Joe Grusinsky ne “i padroni della notte”) all’acclamato “The departed” di Martin Scorsese, anch’esso rilettura americana del primo capitolo della saga “Infernal Affairs”?

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