Saturday, June 17, 2006

L- Daniel Pennac: La fata Carabina


A Belville si dà la caccia ad un pazzo omicida, Julie Corrençon (già nota come Zia Julia ai lettori di “il paradiso degli orchi”) è impegnata in un nuovo scottante articolo, Thèrese legge ancora la mano, Clara guarda ancora al mondo attraverso l’obbiettivo della sua macchina fotografica, il piccolo, con i suoi occhiali dalla montatura rosa, è ancora il piccolo, Jeremy è ancora una mina vagante, Julius il cane ha ancora la bocca storta e la lingua a penzoloni, e Benjamin (ancora capro espiatorio, questa volta per conto delle “Edizioni del Taglione”) si trova nuovamente al centro dei sospetti della polizia di Parigi; insomma, niente è cambiato a Belleville.

Seconda incursione nel mondo di Benjamin Malaussène, un mondo “dove dei serbo-croati latinisti fabbricano donne-killer nelle catacombe, dove vecchie signore ammazano gli sbirri incaricati di proteggerle, dove librai in pensione sgozzano a man bassa per la gloria delle Belle Lettere, dove una cattiva ragazza si defenestra perché il padre è più cattivo di lei…” secondo le indimenticabili parole dell’ispettore Rabdomant, “la fata carabina” mantiene la ben nota ironia pennacchiana, alternando alla piacevole prosa, brevi capitoli dialogici come stralci di sceneggiatura che nascondono sotto la forma della “ricapitolazione” un reiterato tentativo di depistaggio.
Leggermente affrettato nella soluzione del “mini-caso” del biondino Vanini “frontalmente nazionale e dunque razzista” freddato da una vecchia “troppo veloce” (o meglio “trasformato in fiore da una fata”, per dirlo con le parole del piccolo), “la fata carabina” ri-dimostra sul lungo termine, la capacità di Pennac di saldare lo stile surreale, l’ironia moralizzante e l’intreccio ben articolato in un piccolo meccanismo ben oliato e privo dei minimi cigolii.

Indimenticabili i personaggi di Van Thian, Pastor e quello di Stojilkovicz, già presente, ma costretto ad un ruolo decisamente marginale in “Il paradiso degli orchi”.

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