M- Borah Bergman Trio "Luminescence" e Feldman, Caine, Cohen, Baron "Secrets"
In uscita in questi giorni, per conto dell’etichetta discografica “Tzadik”, fondata da John Zorn nell’ormai lontano 1995, Luminescence del “Borah Bergman Trio” e Secrets di Feldman, Caine, Cohen e Baron.
In Luminescence che esce a sei anni di distanza dall’acclamato Meditations for Piano, esordio di Bergman su “Tzadik”, il pianoforte(1) passa senza soluzione di continuità dal “classico” quasi-romantico all’etnico (scale “arabe” e “orientali” a profusione con un’ovvia propensione per le sonorità minori armoniche), dalla ballad bianca(2) alle ritmiche afro-americane, dal folklore mittel-europeo al contrappunto barocco e alla dodecafonia(3) intesa come sonorità, come atmosfera, piuttosto che come tecnica o insieme di regole compositive e formali, e trattata alla stregua degli altri materiali sonori, secondo la prospettiva formalista(4) e stravinskyana che si è imposta nel jazz fin dall’epoca classica.
Da non perdere l'ultra-sfaccettata Opacity e la complessa Luma, che accoda ad un incipit piuttosto convenzionale un incredibile campionario di fonti sonore solo apparentemente discordanti.
Differente nelle scelte formali e nel contenuto specifico, ma frutto della medesima impostazione, sinteticamente meno impegnativo, ma non per questo meno interessante, Secrets, primo lavoro del quartetto composto da Mark Feldman (violino), Uri Caine (piano), Greg Cohen (contrabbasso) e Joey Baron (batteria), propone la rilettura in chiave swing(5) di una serie di melodie hassidiche delle dinastie di Lubavitch, Satmar, Bobov e Modzitzer Hassidim(6).
Da segnalare almeno le incredibili Chabad Nigun e Z'chor Hashem, luogo di un improbabile incontro-scontro tra Thelonius Monk, Stephane Grappelli e Jacob Jacobs.
Due album impedibili che conciliano sperimentazione linguistico-musicale e potenza evocativa, ricerca sonora ricca di citazioni colte e orecchiabilità.
(1) Il trio, composto da contrabbasso, percussioni/batteria e piano (ai quali si unisce, solo in Luma, quinta traccia dell’album, il sax dell’impegnatissimo John Zorn, che ormai si destreggia tra una coppia lavori propri e almeno un paio di partecipazioni l’anno), si articola intorno al tocco ed alle doti del titolare della formazione, abituato ad esperienze da solista.
(2) Si vedano, ad esempio, gli avvii delle belle Parallax e Candela, che rimandano ai grandi classici del cool jazz e della west coast pianistica.
(3) Ovvie sono, nell’album, le eco dai lavori del secondo espressionismo viennese; vengono in mente, in particolare, i primi due movimenti del Kammerkonzert per pianoforte e violino di Alban Berg.
(4) Ma d’altra parte la mistica alla quale l’album di Bergman fa riferimento dal titolo all’immagine di copertina, è fatta di ripetizione, non di creazione, e poi, parafrasando Walter Benjamin, è proprio attraverso la giustapposizione “esplosiva” di forme differenti, per mezzo d'un lavoro sulla “vita postuma dell’oggetto” (in questo caso il materiale sonoro scaduto e caricato di nuove valenze) che si chiarisce il passato (musicale) e si crea il nuovo.
Notiamo per inciso, senza la pretesa di esaurire un argomento che meriterebbe di essere trattato in maniera ben diversa, che proprio l’ambiguità e la falsa corrispondenza di formalismo musicale e religioso, la tensione tra esattezza musicale e rituale, definiscono (pur nella loro problematicità) al meglio lo spirito dei due album in esame.
(5) Lo swing è ceramente la tonalità dominante di questo album, ma i musicisti dimostrano di non disdegnare le tinte manouche e "inciampano" in gloriose tirate Bebop.
(6) Si tratta di brani tradizionali tramandati per via orale, la cui esecuzione veniva equiparata ad un’invocazione ultra-semantica; attraverso la musica strumentale (vietata dalla religione ebraica fin dalla distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme operata dai romani nel 70 d.c. e rispolverata solo in tempi relativamente recenti), il suonatore poteva rivolgersi a Dio in maniera sentimentale (e quindi soprarazionale), esprimendo contenuti linguisticamente incomunicabili; facile allora, e fortunato, l’incontro con il jazz che, fin dalle origini, ha lasciato un grande spazio ad un’improvvisazione intesa come espressione immediata di intraducibile istintività e sentimento profondo.
In Luminescence che esce a sei anni di distanza dall’acclamato Meditations for Piano, esordio di Bergman su “Tzadik”, il pianoforte(1) passa senza soluzione di continuità dal “classico” quasi-romantico all’etnico (scale “arabe” e “orientali” a profusione con un’ovvia propensione per le sonorità minori armoniche), dalla ballad bianca(2) alle ritmiche afro-americane, dal folklore mittel-europeo al contrappunto barocco e alla dodecafonia(3) intesa come sonorità, come atmosfera, piuttosto che come tecnica o insieme di regole compositive e formali, e trattata alla stregua degli altri materiali sonori, secondo la prospettiva formalista(4) e stravinskyana che si è imposta nel jazz fin dall’epoca classica.
Da non perdere l'ultra-sfaccettata Opacity e la complessa Luma, che accoda ad un incipit piuttosto convenzionale un incredibile campionario di fonti sonore solo apparentemente discordanti.
Differente nelle scelte formali e nel contenuto specifico, ma frutto della medesima impostazione, sinteticamente meno impegnativo, ma non per questo meno interessante, Secrets, primo lavoro del quartetto composto da Mark Feldman (violino), Uri Caine (piano), Greg Cohen (contrabbasso) e Joey Baron (batteria), propone la rilettura in chiave swing(5) di una serie di melodie hassidiche delle dinastie di Lubavitch, Satmar, Bobov e Modzitzer Hassidim(6).
Da segnalare almeno le incredibili Chabad Nigun e Z'chor Hashem, luogo di un improbabile incontro-scontro tra Thelonius Monk, Stephane Grappelli e Jacob Jacobs.
Due album impedibili che conciliano sperimentazione linguistico-musicale e potenza evocativa, ricerca sonora ricca di citazioni colte e orecchiabilità.
(1) Il trio, composto da contrabbasso, percussioni/batteria e piano (ai quali si unisce, solo in Luma, quinta traccia dell’album, il sax dell’impegnatissimo John Zorn, che ormai si destreggia tra una coppia lavori propri e almeno un paio di partecipazioni l’anno), si articola intorno al tocco ed alle doti del titolare della formazione, abituato ad esperienze da solista.
(2) Si vedano, ad esempio, gli avvii delle belle Parallax e Candela, che rimandano ai grandi classici del cool jazz e della west coast pianistica.
(3) Ovvie sono, nell’album, le eco dai lavori del secondo espressionismo viennese; vengono in mente, in particolare, i primi due movimenti del Kammerkonzert per pianoforte e violino di Alban Berg.
(4) Ma d’altra parte la mistica alla quale l’album di Bergman fa riferimento dal titolo all’immagine di copertina, è fatta di ripetizione, non di creazione, e poi, parafrasando Walter Benjamin, è proprio attraverso la giustapposizione “esplosiva” di forme differenti, per mezzo d'un lavoro sulla “vita postuma dell’oggetto” (in questo caso il materiale sonoro scaduto e caricato di nuove valenze) che si chiarisce il passato (musicale) e si crea il nuovo.
Notiamo per inciso, senza la pretesa di esaurire un argomento che meriterebbe di essere trattato in maniera ben diversa, che proprio l’ambiguità e la falsa corrispondenza di formalismo musicale e religioso, la tensione tra esattezza musicale e rituale, definiscono (pur nella loro problematicità) al meglio lo spirito dei due album in esame.
(5) Lo swing è ceramente la tonalità dominante di questo album, ma i musicisti dimostrano di non disdegnare le tinte manouche e "inciampano" in gloriose tirate Bebop.
(6) Si tratta di brani tradizionali tramandati per via orale, la cui esecuzione veniva equiparata ad un’invocazione ultra-semantica; attraverso la musica strumentale (vietata dalla religione ebraica fin dalla distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme operata dai romani nel 70 d.c. e rispolverata solo in tempi relativamente recenti), il suonatore poteva rivolgersi a Dio in maniera sentimentale (e quindi soprarazionale), esprimendo contenuti linguisticamente incomunicabili; facile allora, e fortunato, l’incontro con il jazz che, fin dalle origini, ha lasciato un grande spazio ad un’improvvisazione intesa come espressione immediata di intraducibile istintività e sentimento profondo.
Labels: Baron, Borah Bergman, Caine, Cohen, Feldman, Jazz, Musica Sperimentale, Musica Strumentale, Tzadik, Walter Benjamin
1 Comments:
Dove posso trovarlo Lunimescence? Me lo potresti passare?
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