Wednesday, February 11, 2009

C- Baz Luhrmann: Australia



1939. L’Europa è in guerra; si vocifera di un’imminente alleanza del Giappone con Italia e Germania, e l’attacco di Peal Harbor non è poi così lontano, ma alcuni rappresentanti dell’aristocrazia inglese, distaccati, come di consueto, dai “volgari” avvenimenti del mondo civile, sembrano non curarsi della catastrofe imminente. È il caso di lady Sarah Ashley (Nicole Kidman sempre a suo agio e in forma ultra-smagliante), pronta a lasciare il Regno Unito per l’Australia, pur di ricongiungersi al marito(1) impegnato in una serie di investimenti nel mercato del bestiame.
Giunta nella sconfinata proprietà di “Faraway Dawns”, lady Ashley apprende la notizia della morte del marito, apparentemente ucciso da un aborigeno, e si ritrova unica erede della tenuta e di circa mille e cinquecento “buoi facciatosta”.
Inizialmente decisa a vendere tutto e tornarsene nella natia Inghilterra, la donna scopre le speculazioni di King Carney, unico, disonesto, concorrente del marito in una mega-fornitura di carni per l’esercito australiano, e, un po’ per dare al vecchio affarista ciò che si merita, un po’ per restare vicino al piccolo aborigeno Nullah, recentemente rimasto orfano, decide di impegnarsi in prima persona nello spostamento dei buoi; la aiuterà il rude Drover (Hugh Jackman, X-men, Codice: Swordfish, Van Helsing), esperto mandriano…

La regia di Luhrman è decisamente convenzionale; la pellicola funziona, nonostante alcune scelte inspiegabili (2), finché si mantiene su toni da western classico e romantico (3), ma scade via via che il secondo tempo procede, fino a lasciare l’amaro in bocca(4).
Più che un mea culpa o un omaggio (in fondo Luhrman all’epoca dei fatti narrati non era neppure nato; perché dovrebbe sentirsene responsabile? Ma allora perché fingersi toccati?) il film sembra una piccola(5) rassegna di luoghi comuni da neo-moralismo d’occasione, inseriti in una cornice ultracommerciale che miscela western e melò, romanzo (cinematografico) di formazione per genitori(6) e bambini, parentesi drammatiche e amorose, e poco ispirate sequenze da war-movie.
Formidabile, soprattutto da un punto di vista antropologico, il vecchio aborigeno, ancora legato ai modi di vita tradizionali, ma pronto ad accoglie a braccia aperte il “buon colono”(7).
Altro che svolta sociale di Luhrmann: Australia è un film che tenta di accontentare tutti senza parteggiare per nessuno; un’opera strettamente politica nel senso strisciante del termine (o meglio tutt’altro che politica...).



(1)Mr. Ashley è da tempo assente, tanto che la protagonista teme che si sia rifugiato tra le braccia di un'altra donna.
(2) A che pro quelle intricate riprese aeree che nulla aggiungono alla sequenza della morte della madre di Nullah (anzi, nuocciono alla già scarsa tensione emotiva)?
(3) Non sgradevoli i fondali ridipinti alla King Vidor, unico sfogo offerto da Australia al gusto kitsch che nei precedenti lavori di Luhrmann si esprimeva negli interni insopportabili.
(4) Diciamolo chiaramente: non si tratta di amara riflessione, ma di semplice delusione estetica.
(5) Ma neanche troppo piccola, considerate le quasi tre ore di pellicola, rese ancor più insopportabili da una regia ultra-piatta.
(6) Si veda il mutamento di prospettiva di lady Ashley rispetto al viaggio di Nullah.
(7) Che cosa poi questa associazione possa voler dire, soprattutto all’interno di un film che, almeno secondo le dichiarazioni del regista, dovrebbe essere dedicato alla “generazione rubata”, quella dei bambini meticci sottratti ai genitori per essere ri-educati da “bianchi”, toccherà a Luhrmann spiegarcelo…

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