Thursday, November 26, 2009

Luca Poldelmengo: Odia il prossimo tuo


Roma, oggi.
Su per la collina, Andrea pedala veloce per contrastare la pendenza, spingendo la bicicletta verso un tornante che sembra non arrivare mai. Cristiano, un giovane di buona famiglia, si arrampica sul versante opposto, alzandosi, di quando in quando, sui pedali. Flavio “il rosso” richiede alla sua vecchia Lancia “Stratos” un’ultima corsa prima del pensionamento. Deve salire rapidamente, se vuole sistemare tutto. Sul bordo della strada, la giovane Tegla, segnata dalla vita e invecchiata troppo in fretta, come tutte le prostitute, siede “all’incontrario” su una sedia male in arnese, “le gambe larghe e le braccia posate sullo schienale”(1). Più in basso, a poche curve di distanza, il cadavere di un piccolo malavitoso giace abbandonato in una pozza di sangue che, lentamente, si allarga, sotto l’unico occhio curioso di una piccola zinagara.

Comincia e finisce così (o quasi), Odia il prossimo tuo, di Luca Poldelmengo, in un furioso intreccio di esistenze allo sbando, un cozzare di solitudini violente e forzate, una somma di individui incapaci di lasciarsi il passato alle spalle, che finiscono, per questo, per odiare gli altri “come se stessi”; persone per le quali la redenzione è, o sarebbe sempre a portata di mano, ma forse, alla fine, il destino è troppo forte, e non a tutti è data una seconda possibilità.
I personaggi di Poldelmengo si muovono in un mondo perfettamente ordinato, almeno per quanto riguarda le apparenze: c’è il buon padre democristiano –uomo d’affari di successo- che si ritrova a trascurare la moglie e “vivere nel peccato”; c’è l’ex brigatista quasi redento pronto a tornare sulla cattiva strada per offrire una seconda chance a un ragazzo che molto probabilmente non la merita; c’è l’ex campione che ha paura di riprendere la bicicletta e che decide di salvare una puttana, ma finisce per offrirle un nuovo “posto di lavoro” (nel senso geografico del termine), invece di aiutarla a cambiar vita(2); ci sono i figli di “buona famiglia”, annoiati, maleducati, capricciosi, prepotenti. E poi ci sono le puttane, sfruttate e incapaci di sottrarsi ad una vita terribile: pronte, anzi, a sprofondare sempre di più in una miseria esistenziale che sembra la penitenza per una colpa mai commessa. Ci sono i protettori, gli sfruttatori, i clienti. C’è il sogno di un amore impossibile. Il sogno di una nuova vita. La speranza che, pur vana, è sempre l’ultima a morire (ma poi, comunque muore...).
C’è, insomma, in poco più di 180 pagine, un mondo nerissimo, periferico e iperrealistico (somiglia tristemente al nostro), rappresentato da una serie di personaggi meravigliosamente delineati, e “riassunto” in una vicenda esemplare nella sua “distorsione”; una vicenda rapidissima, precisa e oliata come un orologio svizzero, a patto che svizzero sia anche l’orologio che batte l’ora delle condanne a morte…
E c’è, infine, sul volto e tra le mani di un giovane personaggio comprimario, la rinascita di una violenza “ingenua”, che in un mondo così “buio”, riesce a strappare un sorriso soddisfatto, e sembra più giusta della “seconda opportunità” offerta ad uno dei protagonisti.

Lo stile è, come si conviene al genere, contenuto, “basso”, colloquiale. La narrazione -affidata ad un unico narratore extradiegetico e al classico (ma sempre funzionale) regime di focalizzazione zero- è tirata avanti per pezzi brevi (a volte brevissimi), in un montaggio di brani che, alternando le vicende dei personaggi principali prefigura (o meglio prefigurerebbe, se non fosse per l’excipit riportato in apertura), l’incontro-scontro finale tra i protagonisti, secondo un modo tipico del cinema d’azione.
Al di là delle scelte tecniche, l'impianto cinematografico del romanzo è lampante, e forse non vale neppure la pena disegnalarlo: basta gettare uno sguardo alle note biografiche dell’autore, narratore esordiente ma già sceneggiatore del pregevole Cemento Armato, per rendersene conto; e poi la citazione in epigrafe dal melvilliano Le Cercle Rouge e i titoli dei capitoli, che rimandano a film più o meno noti, da Raining Stones di Ken Loach a Passato Prossimo di Maria Sole Tognazzi, da I pugni in tasca di Marco Bellocchio a History of Violence di Cronenberg e così via fino a Rosso come il cielo di Cristiano Bortone(3), parlano chiaro: Odia il prossimo tuo è la prima prova di un noirista-cinefilo che si dimostra estremamente a suo agio nella veste di romanziere, ma che non ha nessuna intenzione di rinnegare le pregresse esperienze cinematografiche. E, date le premesse, noi appassionati del genere non possiamo che augurarci che a Luca Poldelmengo sia lasciato ampio spazio su entrambi i fronti.

Il romanzo Odia il prossimo tuo, di Luca Poldelmengo, finalista al “Premio Azzeccagarbugli” e ora tra i semifinalisti del “Premio Scerbanenco” (http://www.noirfest.com/scerbanenco.asp), è edito da Kowalski.



(1)Luca Poldelmengo, Odia il prossimo tuo, Kowalski, Milano 2009, p. 13.
(2)Il dialogo nel quale le “dolci” aspettative di Tegla si infrangono contro l’assoluta mancanza di tatto, il folle disinteresse verso il futuro del determinato Andrea, è un brano incredibilmente riuscito che vale la pena di segnalare, anche inserito in un romanzo ben scritto come Odia il prossimo tuo.
(3)D'altronde lo stesso titolo del romanzo rimanda (e per verificare il motivo di quella "strana familiarità" che forse avrà afferrato anche voi al primo incontro con questo libro, basta una semplice ricerca su Google) ad uno spaghetti western di Ferdinando Baldi.

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