Thursday, February 16, 2006

C- Lars Von Trier: L’elemento del crimine

Una macchina da presa si muove incerta , nervosa (con movimenti lunghi, angolazioni eccessive e frequenti scatti) in un mondo oscuro e crudele, sgranato e seppiato; l’elemento del crimine è questo, prima ancora della caccia ad un serial killer rivissuta attraverso gli occhi di un uomo ipnotizzato.

L’agente Fisher, un poliziotto tedesco che ha passato gli ultimi tredici anni al Cairo viene richiamato in Europa per indagare su un serial killer; seguirà il metodo descritto da Osborne, (suo maestro e un tempo eminente criminologo, ormai invecchiato e impazzito) nel testo “l’elemento del crimine” (un tempo in uso presso le forze di polizia, ma ormai screditato), che propone l’identificazione psicologica del detective con il criminale.
L’uomo si getta sulle tracce dell’assassino, ma il passo che porta dall’identificazione psicologica alla follia criminale è breve…


Le immagini sono evocate dalla voce off del protagonista (nella tradizione del noir classico cinematografico e non) ormai tornato al Cairo e sottoposto ad una seduta di ipnosi.
La Germania che egli ricordava non esiste più, tutto è ridotto ad una superficie semideserta ornata qua e là da uno specchio d’acqua stagnante o da un cumulo di macerie, su cui si muovono una serie di folli personaggi quasi privi di vita.
La crudeltà, la follia, la menzogna, la scarsissima emotività (si pensi alla sequenza del suicidio dal ponte, così priva della benché minima partecipazione da parte del suicida stesso), sono tratti comuni a tutti gli abitanti di questo paese a-storico e anti-storico (alle possibili collocazioni “post-apocalittiche” si sovrappongono strumenti e veicoli da robivecchi) rafforzati graficamente da un’immagine dominata dal nero e dal “poco visibile”.
Le sovrimpressioni, talvolta brutali sono d’effetto e non nuocciono ad un film che fa della frammentarietà, e della giustapposizione di immagini apparentemente prive di relazione, i suoi punti di forza.
Il senso di oppressione onnipresente, nelle scene d’interno e d’esterno è vissuto anche dai personaggi; ne sono testimonianza l’immagine reiterata della finestra frantumata attraverso la quale alcuni personaggi sembrano voler fuoriuscire dalla loro situazione, o quella dei colpi di pistola sparati (in particolare da Osborne prima e da Fisher poi), sempre attraverso la finestra, come a voler ammazzare la notte.
Lo stile graficamente curato (sia pure, con un gusto tutto antidecorativo) è quanto di più lontano ci si possa aspettare dai successivi, ascetici, esercizi del “dogma”; ne risulta un film disturbante, complesso e non strutturato, perso tra mille citazioni dal cinema classico (si pensi alla sequenza con vertiginoso movimento a spirale della macchina da presa che strizza palesemente l’occhio a Hitchcock) e un gusto quasi fastidioso per gli inserti, per i particolari, e per i dettagli non necessariamente giustificati dall’andamento di un intreccio alquanto confuso.
Questo film datato 1984, che rappresenta forse uno dei punti più interessanti della produzione di L. Von Trier è stato recentemente ripubblicato da Rarovideo.

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