Gianni Tetti: I cani là fuori
« Qua tutti leggono la mano. Mi guardo la mano. Non so leggere la mano. Il rumore delle gocce che cadono sul pavimento è rilassante, gocce calde, rumore sordo, è il mio sangue. La mia mano. […] Sento i cani là fuori. I cani più furiosi che abbia mai sentito. Ce l'hanno con me. Sentono il mio odore. Vogliono azzannarmi. Abbaiano, si bagnano, guardano fisso qua, verso di me, verso la porta della stanza numero cinquantasei. Sono predatori pure loro.»(1)
Sardegna, oggi. Da qualche parte, nei dintorni di Alghero, gli avventori di un bar giocano a dadi. Tra loro c'è Indio. Un uomo tranquillo, integrato, uno senza niente da nascondere. Ma uno straniero in panama bianco e maglietta è venuto da molto lontano per cercarlo...
Segnato dalla separazione dei genitori, e convinto dal ticchettare di un ramo su una finestra, un ragazzo commette un efferato delitto.
Un dente appena rotto porta un uomo a rievocare le “tragiche” circostanze della morte del padre.
Per interrompere un interminabile flusso di chiacchiere, un ragazzo uccide una vecchia vicina di casa e la ripone in un congelatore orizzontale.
Asserragliato in una stanza d'albergo di Mumbay, un uomo distrutto dalla gelosia si arrovella nella disperata ricerca di una via di fuga.
Un insospettabile geometra è disposto a tutto pur di salvare l'amata Adela, barista al “Caffè Roma”, dal fidanzamento con l'inaffidabile Marco Russo...
Un aspirante scrittore aspetta “il momento giusto”, quello in cui, buttato finalmente su carta il romanzo di fantascienza che ha tutto lì “nella sua testolina”, raggiungerà la fama. Intanto, tira avanti alla meglio, costringendo due minorenni cinesi a prostituirsi.
Torturato dai sensi di colpa e dall'irrazionale paura di essere battuto, un giovane che per anni ha tentato di sottrarsi all'ira del padre adottivo “diventando invisibile”, vive nei condotti d'aerazione di un edificio universitario.
Un uomo “tranquillo” si piega alla volontà del fidato dobermann Vito, essere parlante e intelligente, a conoscenza di una misteriosa cospirazione aliena.
Finito nelle grinfie di una malvagia colf ucraina, un ricco vedovo volta le spalle ai suoi 12 figli. I ragazzi tentano di cavarsela con un allevamento di maiali, ma, quando le cose vanno storte, non esitano a mettere nei guai l'innocente sorella minore...
Un precisissimo killer pianifica l'omicidio di un trafficante d'avorio.
Il (quasi) trentenne sassarese Gianni Tetti, sceneggiatore e dottorando in storia e critica del cinema, esordisce sulla scena letteraria con una serie di racconti brevissimi, rapidi, surreali, sboccati, inframmezzati da piccoli raccordi(2) senza titolo, ma di per se' segnati da una forte componente unitaria: non si fatica di certo a individuare, dietro i differenti episodi, il tema unico della “crisi del culturale”, dell'insorgere dell'irrazionale, dell'irriflesso, dell'"animalità" incontrollata; quella tendenza alla distruzione che il grande Ernesto de Martino definì, a suo tempo, “nostalgia del nulla”. Per i personaggi di Tetti non vale(3) il discorso -trito e ritrito- sulla fine dei valori nell'era dei consumi, della massificazione e della de-sensibilizzazione mediatica; i suoi personaggi sembrano vivere, piuttosto, in un tempo remoto, precedente: quello delle grandi narrazioni americane che denunciavano -da Caldwell a Faulkner, passando attraverso gli ormai dimenticati racconti di Tennessee Williams- la decadenza dei costumi, la brutalità tipica delle violente zone rurali degli Stati del Sud.
Così, se non esiste in Italia un modello di riferimento(4), i termini di confronto sono da ricercare nella tradizione americana: quella già citata, del sud (e non a caso, una delle poche “tinte” chiaramente riconoscibili nei racconti di Tetti, sia pure filtrata dall'esperienza cinematografica nazionale, è proprio quella western), ma anche, linguisticamente, quella degli anni '70(5), che segna un “recesso” dal linguaggio beat propriamente detto, ormai del tutto privo di punteggiatura, al “semplice” discorso indiretto libero.
L'antologia I cani là fuori, di Gianni Tetti, è edito da Neo Edizioni.
(1)Gianni Tetti, I cani là fuori, Neo Edizioni, Castel di Sangro 2009, p. 85.
(2)Si tratta, in effetti, di piccoli affreschi che servono, oltre che a raccordare i vari episodi, a tratteggiare l'ambiente, a riportare al centro dell'attenzione personaggi secondari, o, a estendere al mondo urbano e continentale, attraverso un'inclusione “televisiva” (cfr pp. 80-81), quella malattia della morale e del senso che altrimenti si potrebbe ritenere appannaggio esclusivo dell'universo rurale/paesano della diegesi.
(3)O “non tanto”, perché in realtà, una pregevole parentesi che porta al centro della scena i falsi miti della moderna società borghese, l'autore se la concede, in quel Il momento giusto arriva che, a modesto parere di chi scrive, costituisce uno dei racconti più riusciti dell'intera antologia.
(4)Non esiste, in Italia, una tradizione del “racconto pulp”; se si eccettuano le (rare) antologie collettive, l'unico antecedente storico di una certa rinomanza è probabilmente costituito da Fango di Ammaniti, opera dalla quale Tetti si allontana profondamente, anche solo per ambientazione.
(5)Meglio resistere alla tentazione di citare l'indimenticato Bukowski; se per la tenue perversione del fantasticare dei personaggi (ma anche, più in generale, per certi passaggi onirici), racconti come E per il resto niente, ricordano le Storie di ordinaria follia, la tecnica di Tetti, che non disdegna affatto l'effetto sorpresa, e che si serve di un vocabolario di immagini (in particolare sacre) strettamente nazionale, è molto diversa da quella osservabile nelle opere della maturità dell'autore di Factotum.
Segnato dalla separazione dei genitori, e convinto dal ticchettare di un ramo su una finestra, un ragazzo commette un efferato delitto.
Un dente appena rotto porta un uomo a rievocare le “tragiche” circostanze della morte del padre.
Per interrompere un interminabile flusso di chiacchiere, un ragazzo uccide una vecchia vicina di casa e la ripone in un congelatore orizzontale.
Asserragliato in una stanza d'albergo di Mumbay, un uomo distrutto dalla gelosia si arrovella nella disperata ricerca di una via di fuga.
Un insospettabile geometra è disposto a tutto pur di salvare l'amata Adela, barista al “Caffè Roma”, dal fidanzamento con l'inaffidabile Marco Russo...
Un aspirante scrittore aspetta “il momento giusto”, quello in cui, buttato finalmente su carta il romanzo di fantascienza che ha tutto lì “nella sua testolina”, raggiungerà la fama. Intanto, tira avanti alla meglio, costringendo due minorenni cinesi a prostituirsi.
Torturato dai sensi di colpa e dall'irrazionale paura di essere battuto, un giovane che per anni ha tentato di sottrarsi all'ira del padre adottivo “diventando invisibile”, vive nei condotti d'aerazione di un edificio universitario.
Un uomo “tranquillo” si piega alla volontà del fidato dobermann Vito, essere parlante e intelligente, a conoscenza di una misteriosa cospirazione aliena.
Finito nelle grinfie di una malvagia colf ucraina, un ricco vedovo volta le spalle ai suoi 12 figli. I ragazzi tentano di cavarsela con un allevamento di maiali, ma, quando le cose vanno storte, non esitano a mettere nei guai l'innocente sorella minore...
Un precisissimo killer pianifica l'omicidio di un trafficante d'avorio.
Il (quasi) trentenne sassarese Gianni Tetti, sceneggiatore e dottorando in storia e critica del cinema, esordisce sulla scena letteraria con una serie di racconti brevissimi, rapidi, surreali, sboccati, inframmezzati da piccoli raccordi(2) senza titolo, ma di per se' segnati da una forte componente unitaria: non si fatica di certo a individuare, dietro i differenti episodi, il tema unico della “crisi del culturale”, dell'insorgere dell'irrazionale, dell'irriflesso, dell'"animalità" incontrollata; quella tendenza alla distruzione che il grande Ernesto de Martino definì, a suo tempo, “nostalgia del nulla”. Per i personaggi di Tetti non vale(3) il discorso -trito e ritrito- sulla fine dei valori nell'era dei consumi, della massificazione e della de-sensibilizzazione mediatica; i suoi personaggi sembrano vivere, piuttosto, in un tempo remoto, precedente: quello delle grandi narrazioni americane che denunciavano -da Caldwell a Faulkner, passando attraverso gli ormai dimenticati racconti di Tennessee Williams- la decadenza dei costumi, la brutalità tipica delle violente zone rurali degli Stati del Sud.
Così, se non esiste in Italia un modello di riferimento(4), i termini di confronto sono da ricercare nella tradizione americana: quella già citata, del sud (e non a caso, una delle poche “tinte” chiaramente riconoscibili nei racconti di Tetti, sia pure filtrata dall'esperienza cinematografica nazionale, è proprio quella western), ma anche, linguisticamente, quella degli anni '70(5), che segna un “recesso” dal linguaggio beat propriamente detto, ormai del tutto privo di punteggiatura, al “semplice” discorso indiretto libero.
L'antologia I cani là fuori, di Gianni Tetti, è edito da Neo Edizioni.
(1)Gianni Tetti, I cani là fuori, Neo Edizioni, Castel di Sangro 2009, p. 85.
(2)Si tratta, in effetti, di piccoli affreschi che servono, oltre che a raccordare i vari episodi, a tratteggiare l'ambiente, a riportare al centro dell'attenzione personaggi secondari, o, a estendere al mondo urbano e continentale, attraverso un'inclusione “televisiva” (cfr pp. 80-81), quella malattia della morale e del senso che altrimenti si potrebbe ritenere appannaggio esclusivo dell'universo rurale/paesano della diegesi.
(3)O “non tanto”, perché in realtà, una pregevole parentesi che porta al centro della scena i falsi miti della moderna società borghese, l'autore se la concede, in quel Il momento giusto arriva che, a modesto parere di chi scrive, costituisce uno dei racconti più riusciti dell'intera antologia.
(4)Non esiste, in Italia, una tradizione del “racconto pulp”; se si eccettuano le (rare) antologie collettive, l'unico antecedente storico di una certa rinomanza è probabilmente costituito da Fango di Ammaniti, opera dalla quale Tetti si allontana profondamente, anche solo per ambientazione.
(5)Meglio resistere alla tentazione di citare l'indimenticato Bukowski; se per la tenue perversione del fantasticare dei personaggi (ma anche, più in generale, per certi passaggi onirici), racconti come E per il resto niente, ricordano le Storie di ordinaria follia, la tecnica di Tetti, che non disdegna affatto l'effetto sorpresa, e che si serve di un vocabolario di immagini (in particolare sacre) strettamente nazionale, è molto diversa da quella osservabile nelle opere della maturità dell'autore di Factotum.
Labels: Bukowski, Caldwell, Faulkner, Gianni Tetti, Letteratura, Letteratura Americana, Letteratura Italiana, Letteratura Noir, Racconti, Sardegna, Tennessee Williams
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