Friday, July 17, 2009

Stanley Ellin: Specchio delle mie brame

“Riconosco la pistola. La donna non so chi sia. Cionondimeno, la pur schifosa logica, tremolante e sudaticcia, mi suggerisce che se la donna giace sul pavimento del bagno del mio appartamento di Sheridan Square nel Greenwich Village, sbarrato e protetto da telecamere a circuito chiuso e si trova seminuda così da far pensare che non sia lì per caso, tra di noi si sarebbe potuto fare qualche collegamento. Essenzialmente di tipo fisico.”(1)

Peter Hibben, pezzo grosso della McManus e Naish, grande casa editrice americana con sedi in tutto il mondo e un catalogo di grande prestigio, è poco più di un uomo qualunque. Un qualunque tizio maturo con un matrimonio fallito alle spalle e un figlio adolescente a carico. Un tipo un po’ cinico, abituato a vivere al di sopra delle sue possibilità, decisamente stressato, vagamente irresponsabile, ma niente di più.
Come spiegare, allora, il cadavere della prostituta che giace senza vita nel bagno del suo appartamento? E che dire dei suoi inspiegabili vuoti di memoria?
Che cosa stava facendo Hibben mentre la donna, misteriosamente introdottasi nell’appartamento, veniva uccisa con la sua pistola?

Servendosi di un registro basso, colloquiale, piacevolmente intimo, ironico e sboccato, perfetto per la trascrizione del parlato del cinico Hibben, Ellin ricostruisce gli avvenimenti attraverso un folle monologo interiore fitto di eminenti rappresentanti del senso comune e figure tipiche del vivere sociale nella nevrotica New York -avvocati senza scrupoli, distaccati psicanalisti, ricchi ebrei, anziani borghesi, protestanti dalla morale facile e una ex moglie sul piede di guerra- che solo incidentalmente hanno un volto preciso e una fisionomia nota, ma che svolgono, in realtà, una funzione strettamente simbolica...
L’assunto psicologico di base non sarà forse dei più solidi(2), ma il racconto, che si pone, in un gioco di rimandi tra letteratura “alta” e “bassa”, a metà strada tra Il lamento di Portnoy di Philip Roth e Volevo Uccidere Johhny Fry di Walter Mosley, tra la nevrastenia intellettualoide del primo Woody Allen e la tragica risolutezza del protagonista di New York Blues di Cornell Woolrich, funziona, ed è assolutamente unico nel suo genere: sorprendente, psicologico e introspettivo, sopra le righe, iper-simbolico, denso di un’atmosfera classica (ricorda, per costruzione e meccanica, il David Goodis di Il vuoto nella mente e il Woolrich di Sipario nero), debitore dello stream of consciousness nella sua rilettura beat, ma chiaramente concepito nel clima della psicanalisi “deviata” (almeno secondo le scuole freudiano-ortodosse) di Wilhelm Reich e delle teorie di Marcuse, Specchio delle mie brame poggia sul conflitto tra il libero desiderare ("illecito") di un singolo, e la "tranquilla" normatività della morale borghese. Nel tentativo di risolvere il conflitto su un piano simbolico(3), il protagonista, incapace di accettare i suoi istinti fino in fondo, evoca una serie di figure "istituzionali" chiamate a giudicarlo e, quando la frattura si rivela insanabile, si trova costretto a scegliere un destino tragico in maniera del tutto deliberata e consapevole.

Scritto nel 1972 e premiato, nel 1975, con il prestigioso Grand Prix de Littérature Policière, Specchio delle mie brame, di Stanley Ellin, è un piccolo capolavoro del genere, inspiegabilmente uscito fuori catalogo da oltre 10 anni; l'ultima edizione, proposta da Einaudi nella defunta collana "Vertigo", risale infatti al 1998.



(1)Stanley Ellin, Specchio delle mie brame, Anabasi, Milano 1995, p. 10.
(2)Paradossalmente, le incursioni introspettive più credibili e convincenti della storia del “nero” mondiale risalgono ad un’epoca precedente alla scoperta dell’inconscio, un periodo nel quale la semplice “informazione” condotta, nel migliore dei casi, attraverso la consultazione di testi e trattati psicanalitici, era assolutamente impossibile, e la ricostruzione psicologica fondava, anche nel caso delle menti "deviate", su sporadiche osservazioni empiriche, esperienze personali, tentativi di identificazione (empatici o meno) e solide riflessioni filosofiche (si pensi, per limitarsi all'esempio più ovvio, al Dostoevskij di Delitto e Castigo).
(3)Ma i due piani, il reale e il simbolico, si confondono sotto gli occhi del lettore (anzi, è proprio grazie a questa confusione, che l'effetto sorpresa funziona), e il romanzo si sottrae a tutte le categorie narratologiche mettendo alla prova il vecchio concetto di focalizzazione...

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Thursday, July 02, 2009

Barbara Baraldi: La casa di Amelia

Depressione, paura, sensi di colpa, isolamento; da quando è sopravvissuta agli attacchi di Alex e Marina, due folli omicidi conosciuti per via telematica, la giovane Amelia, ragazza un tempo assetata di vita, si è ridotta ad un volontario esilio all’interno della casa della nonna da poco scomparsa.
Per superare dolore e rimorso(1) e scacciare gli incubi, ha organizzato la sua nuova vita secondo una serie di stretti rituali; eppure l’orrore che la perseguita è riuscito a scavare un varco all’interno della cornice familiare e “rassicurante” del suo appartamento di Trieste: è cominciato tutto con la scomparsa dell’unico amico rimasto, il gatto Stitch, che ha improvvisamente rivelato la sua natura di traditore; poi i consueti incubi si sono intensificati, le telefonate anonime sono diventate sempre più frequenti e minacciose, e una misteriosa lettera cifrata ha definitivamente incrinato la precaria “tranquillità” della ragazza... E proprio nel momento in cui madre e cugina, ormai al colmo della preoccupazione, erano sul punto di trascinarla fuori dal suo isolamento ai limiti del patologico.
Tra oscuri presentimenti e segni palpabili, Amelia si rende conto che i mostri che tornano dal passato sono molto più reali di quanto lei stessa non fosse, in un primo momento, disposta a credere, e che non le basterà cambiare abitudini, look e appartamento per crearsi una nuova vita: per riconquistare la normalità, dovrà tornare nella casa dell’orrore -la villa immersa nelle campagne di Ferrara all’interno della quale ha già rischiato la morte- e affrontare i suoi fantasmi in maniera definitiva…

Concepito come seguito di La collezionista di sogni infranti (ma leggibile, con un leggero sforzo iniziale, come opera a se stante), La casa di Amelia è un romanzo di forte impatto “visivo”, che gioca con una cornice da “fiaba nera” per rinnovare modi di confine tra il thriller letterario e l’horror-thriller cinematografico “all’italiana”. La vicenda, narrata tra prima e terza persona in un montaggio che alterna soggettive, descrizioni ambientali e auto-riflessione(2), e con ricorso ad un registro misto, fatto di termini volutamente “gotici” e assolutamente quotidiani(3), scorre “liscia” (dal punto di vista del lettore, s’intende), tra premonizioni, immagini mniacciose e rovesci reali, curiose citazioni cinematografiche(4) (usate anche come materiale metanarrativo “utile” allo scioglimento dell’intreccio), atmosfere surreali e vero orrore, descrizioni equilibrate, trovate fantasiose e risvolti soprannaturali che, come nei migliori esempi del genere, si appianano sul finale riportando in primo piano, attraverso piccoli, perfetti colpi di scena, sequenze d’inseguimento, colluttazioni, inganni e depistaggi, la pura e semplice malvagità umana.

Il romanzo La casa di Amelia di Barbara Baraldi è edito da Perdisa.



(1)Già, perché per liberarsi dei suoi assalitori Amelia si è data un bel po’ da fare, tanto da lasciarsi alle spalle due cadaveri…
(2)Così mi sembra si possano interpretare molti dei passaggi in terza persona…
(3)Questa scelta linguistica, che da un lato rispecchia il gusto di Amelia (che, in quanto “ballerina vestita di un nero tutu di pizzo e texani in cuoio” [Barbara Baraldi, La casa di Amelia, Perdisa, Bologna 2009, p. 58], pare uscita dritta dritta da Il cielo sopra Berlino), rende, d'altra parte, perfettamente, l’irrompere dell’orrore nella vita quotidiana.
(4)Tutto mi sarei aspettato di incrociare, tra le pagine di La casa di Amelia, meno che i nani da giardino di Il favoloso mondo di Amélie, eppure la citazione si rivela, sul lungo termine, non solo azzeccata, ma funzionale allo scioglimento della trama.

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