Thursday, December 25, 2008

Auguri!


Nonsolonoir augura buon natale a tutti i lettori.


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Tuesday, December 23, 2008

In risposta a Luca Conti



Pubblichiamo qui, per dargli maggiore visibilità, un commento di Luca Conti al post relativo al romanzo Il caso sbagliato, di James Crumley.

Grazie della bella recensione. Il fatto che "Il caso sbagliato", però, sia stato ripubblicato in Italia (e, soprattutto, ritradotto) dopo la scomparsa di Crumley è, purtroppo, una triste coincidenza, visto che il libro era già in programma per Einaudi da un bel pezzo; tanto che Crumley è morto proprio nei giorni in cui stavo rivedendo la traduzione.

E diciamo anche che, almeno nel caso di Crumley, non si tratta proprio di una "tardiva riscoperta", visto che Stile Libero ha iniziato a pubblicare e ripubblicare i suoi libri fin dal 2001 (ne sono già usciti quattro, a fine 2009 uscirà la mia nuova traduzione di "Dancing Bear" e poi, a scadenza annuale, "Il confine dell'inganno" e "L'anatra messicana").

Grazie di nuovo

Luca Conti


Innanzitutto grazie per essere intervenuto su questo piccolo blog: qui siamo suoi fan sfegatati.
Ovviamente quando scrivo "tardiva riscoperta" non mi riferisco agli esperti del settore e ai fanatici del genere (in questa seconda categoria mi inserisco anche io...), ma piuttosto al grande pubblico. È un po' la solita vecchia storia: Crumley è uno degli imperdibili della "nuova" letteratura Hard Boiled, e purtroppo mi pare che si stia facendo il suo nome (sul web come a stampa) molto più spesso ora che è scomparso, rispetto a prima. La collana "Stile Libero" è una vera garanzia, e chiunque sia appassionato di un certo genere di letteratura americana (e non solo), se ne rende conto anche solo sfogliandone il catalogo, ma, purtroppo, mentre alcuni titoli circolano, se ne parla ecc., altri rimangono ingiustamente poco letti e/o discussi: penso non solo ai romanzi L'ultimo vero bacio, Una vera follia e La terra della menzogna, molto meno noti di quanto meriterebbero, ma anche a opere quali Gli amici di Eddie Coyle di Higgins e I ragazzi del coro di Wambaugh (quest’ultimo stranamente poco discusso, dato che è stato oggetto di una notissima trasposizione cinematografica firmata R. Aldrich, e dato che è osannato a più riprese da James Ellroy).
Scrivendo "tardiva riscoperta", mi riferivo a tutta una serie di curiosi, richiamati alla lettura in seguito alla notizia della morte dell'autore: ovviamente so che la pubblicazione di Crumley da parte di Einaudi non è iniziata quest'anno, e mai mi permetterei di accusare la casa editrice di aver tentato di cavalcare la morte dell'autore a fini pubblicitari, ma, dato che tanti lettori stanno scoprendo, a fine 2008, romanzi come L'ultimo vero bacio (uscito nel 1978 ed edito dal 2004), La terra della menzogna (2001, in Italia collezione “Stile Libero” dal 2002) e Una vera follia (2005, trad. it. 2005), l’espressione mi sembra quanto mai appropriata, tanto più che la scoperta di un autore defunto (ed è questo che sta succedendo a molti) è “tardiva” per definizione.
Ritiro, ovviamente, quel “peccato che per ripubblicare un romanzo come Il caso sbagliato si sia dovuta attendere la dipartita dell’autore”, e lo sostituisco con un ben più accettabile (spero) e soprattutto incontestabile “peccato che la ripubblicazione di un romanzo come Il caso sbagliato sia avvenuta solo in seguito alla dipartita dell’autore”.
Io nel mio piccolo consiglio sempre a tutti di leggere Crumley (ma forse dire che "cerco di obbligare" la gente a leggerlo è più corretto), e non so dirle quanto mi senta sollevato per l’annuncio della pubblicazione di Dancing Bear (la cui traduzione in edizione Mondadori mi era parsa piuttosto bruttina), Il confine dell'inganno e L'anatra messicana.
Ciò detto, non mi resta dunque che ringraziarLa, da parte mia e di tutti i lettori, per la partecipazione e per le precisazioni.

Fabrizio Fulio - Bragoni


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Comunicazione ai Lettori

Nonsolonoir promosso al primo concorso per recensioni indetto dal sito www.terza-pagina.com.
Il comunicato, che annuncia il risultato e l'imminente pubblicazione delle recensioni premiate (relative all'album Pistola di Willy Deville, al film Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen e al romanzo La vita è uno schifo di Léo Malet), è leggibile qui.

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Saturday, December 20, 2008

L- James Crumley: Il caso sbagliato

Tempi duri per gli abitanti della “tranquilla” cittadina di Meriweather, Montana: prima l’eroina che inizia a circolare per le strade, poi un vecchio hotel fatiscente che prende fuoco crollando su alcuni dei suoi sventurati abitanti, e, infine, un’avvenente rossa pronta ad assoldare Milo Milodragovitch per far luce sulla misteriosa morte del fratellino, liquidata dagli “impegnatissimi” agenti di polizia come un semplice suicidio. E quando ad indagare è Milodragovitch, la gente del posto lo sa, non ci sono che due alternative: scappare, o tirare fuori la verità, tutta la verità. Tanto più che il detective, cambiata la legge sul divorzio, si ritrova potenzialmente disoccupato, e pronto ad accettare qualsiasi caso pur tenersi in movimento…

Torna finalmente disponibile per i lettori italiani Il caso sbagliato, primo romanzo noir di James Crumley.
Nichilista, uomo di lettere, ex professore, reduce del Vietnam, grande scrittore, l'autore è soprattutto un instancabile, attento, osservatore della natura umana secondo quella tendenza, tutta americana, che ha reso possibili la perfezione stilistica di Hemingway e di Chandler (non se ne abbiano a male per l’accostamento i detrattori della letteratura di genere…), e le decadenti e sconsolanti visioni del mondo di Faulkner, Caldwell, O’Connor e gli altri, vari, cantori delle brutture morali delle zone rurali degli stati del Sud(1).
Ben si applica, a Crumley ed ai suoi protagonisti l’affermazione, attribuita a Lawrence d’Arabia, secondo la quale “vecchio e saggio significa solo disilluso e amareggiato”: il percorso di Milodragovitch e Sughrue, impegnati nelle loro varie avventure in altrettante operazioni “moralizzanti”, è proprio l’assunzione, come compito, dell’invecchiamento biologico(2) al quale nessuno di noi puoi sottrarsi, e l’integrazione di questo con un sistematico invecchiamento “conoscitivo”, un “progresso” verso la più completa disillusione.
James Crumley non sapeva nulla, per esperienza diretta, del lavoro del detective(3), ma conosceva perfettamente l’ambiente delle sue storie, quello dei losers e dei drunkards da saloon e, come ogni reduce di guerra che si rispetti (tanto più un reduce del Vietnam, non a caso una delle guerre più rovinose della storia degli Stati Uniti), doveva aver imparato da tempo a dare al termine “disillusione” il suo giusto significato.
Ora la ripubblicazione di Il caso sbagliato, e, speriamo, delle altre opere fuori edizione in Italia, apre la strada alla tardiva riscoperta di un autore la cui importanza stilistica è riconosciuta, oltreoceano, anche al di fuori dei limiti di genere.
Peccato che per ripubblicare un romanzo come Il caso sbagliato si sia dovuta attendere la dipartita dell’autore(4).



(1) Inutile dirlo, zona rurale o urbana, la natura umana resta la stessa: egoismo, crudeltà gratuita, incurabile sentimento di solitudine, avarizia ecc., saranno più facilmente osservabili negli spazi ampi e semi-deserti degli stati del sud, ma di certo non mancando tra le vetrine lucide dei negozi super-affollati e le facciate anonime dei palazzoni delle grandi città…
(2) Esemplare il caso di Milo Milodragovitch che, proprio ne Il caso sbagliato, attende con ansia il raggiungimento dei 53 anni d’età (momento in cui potrà finalmente disporre a piacimento del patrimonio di famiglia), ma le attività alle quali si dedica e le situazioni alle quali si espone lasciano il segno, e sono tali da impedirgli, e di questo il lettore si ritrova abbastanza certo, di trarre in futuro un qualunque reale sollievo dallo sperpero di denaro.
(3) E infatti i suoi personaggi si muovono, come persone comuni, un po’ a casaccio, sul filo di un sospetto, pronte a provare e riprovare, a procedere per tentativi fino a far saltare fuori la verità.
(4) James Crumley è scomparso lo scorso 16 settembre in una camera d’ospedale nella cittadina di Missoula, Montana. Aveva 68 anni.

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Monday, December 15, 2008

L- Ken Bruen: Il Prete

“Perché han lunga vita i malvagi, giganteggiano, crescono in ricchezza?”
Libro di Giobbe

Galway, Irlanda; ottobre 2003. Johnny Cash è morto, Warren Zevon anche, ma il paese, appena colpito da un terribile fatto di sangue, è troppo sconvolto per accorgersene: il corpo decapitato di padre Joyce, vecchio prete cattolico, è stato ritrovato nel confessionale della sua chiesa da un’anziana suora.
Secondo alcune voci padre Joyce si sarebbe preso, in vita, delle libertà con i suoi giovani chierichetti, e la polizia è costretta, per evitare lo scandalo, a muoversi con i piedi di piombo.
Il caso sembra destinato ad essere archiviato, anche grazie alle pressioni esercitate dalla chiesa e da alcuni facoltosi cittadini locali, ma il vecchio padre Malachy (segnato dalla stessa cattiva reputazione della prima vittima) teme di ritrovarsi bersaglio di un assassino intenzionato a ripulire la città dai sacerdoti pedofili, e chiede al detective Jack Taylor(1) di indagare...

Ken Bruen, irlandese, classe 1951, finalista ai premi “Edgar”, “Barry” e “Macavity”, insignito nel 2003 del prestigioso “Shamus Award” dall’associazione “Private Eye Writers of America” per il romanzo The Guards(1), recupera il modello del romanzo d’indagine a là Derek Raymond e si dedica ad una sistematica, esplicita, amplificazione della dimensione morale(2) dell’opera.
Ne Il prete, vera e propria "detective story di teodicea", crimini, criminali, polizia, investigatore, indagini non sono che pretesti(3): protagonista incontrastata è la riflessione sul “bene” e sul “male”, sulla “colpa” e l’“espiazione”, sul “delitto” e il “castigo”. E se il primato della dimensione morale, della riflessione metafisica dagli esiti quasi certamente atei (ed il conseguente ripiego su uno sconsolante materialismo, anche se poi la giustizia secolare non si dimostra, almeno nelle sue forme "ufficiali", più efficiente di quella divina nel trattamento di certi delitti), va in parte a discapito del ritmo della narrazione e dell’azione (“solo” due omicidi in un romanzo di 247 pagine, per di più quasi del tutto prive di sparatorie, inseguimenti ecc.), a lettura terminata si resta con l’impressione di aver avuto a che fare con un’opera ben più importante, ben più alta, del solito poliziesco fatto in serie.
Per chi ama i personaggi maledetti, Jack Taylor è da non perdere(4).

Romanzo interessante, sconsolante, realistico, intelligente, Il prete, di Ken Bruen, è edito in Italia da Fanucci.



(1) Il romanzo, che apre il ciclo dedicato a Jack Taylor, è stato proposto ai lettori italiani con il titolo Prima della notte (Frassinelli, 2004).
(2) Quello relativo alle capacità d’“indagine morale” connaturate al genere noir (capacità in buona parte dimostrate, in epoca classica, tanto per adeguarsi alle severe regolamentazioni del terribile Motion Picture Production Code redatto, nel 1930, da Will H. Hays) è un gran bel luogo comune: in realtà, in molti degli autori contemporanei, questa riflessione, questa tensione etica che dovrebbe essere molla dell’azione del detective (e che forse nei romanzi di Chandler, tanto per fare un esempio, lo era) è del tutto assente o sembra poco sentita, vuota, puramente esteriore, assorbita insieme a tutti gli altri cliché del genere. Solo negli ultimi anni, e soprattutto grazie all’opera dell’inglese Derek Raymond, responsabile di una preziosa sintesi tra poliziesco e romanzo esistenzialista di matrice sartriana, gli autori europei hanno cominciato ad indagare il potenziale riflessivo inespresso del romanzo noir. Nel caso specifico di Il prete, i cui capitoli sono aperti da citazioni dai Pensieri di Pascal, il piano morale trapassa qua e là nel metafisico, se non proprio nel teologico.
(3) Ma non fraintendano i lettori: stile e intreccio di Il prete non sono meno perfetti, intriganti e curati di quelli di un tradizionale romanzo noir di alto livello.
(4) Ex-poliziotto, investigatore privato, alcolista reduce da un ricovero in clinica psichiatrica, irrimediabilmente segnato da un terribile trauma e roso dai sensi di colpa, Jack Taylor è una figura limite anche nel vasto panorama di protagonisti “maledetti” offerto dal noir moderno.

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Saturday, December 13, 2008

Comunicazione ai lettori


NonSoloNoir premiato al primo concorso per la "miglior recensione" indetto dalla casa editrice padovana Meridiano Zero.
Il comunicato, che promette l'imminente pubblicazione della nostra recensione di La gabbia delle Scimmie di Victor Gischler, è leggibile qui.

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Thursday, December 11, 2008

L- Chuck Palahniuk: Gangbang

Cassie Wright è la regina del porno. Titoli di culto come Tutte le sorche del presidente, Il grosso e il nero, Un colpetto all’italiana e Da qui alla sazietà, hanno fatto di lei una star, ma anche le regine invecchiano, e Cassie, ormai giunta alla soglia della pensione, ha in mente un modo molto particolare per dare l’addio alle scene: vuole battere il “record mondiale di gangbang” concedendosi a 600 uomini in un'unica seduta.
Divorata dai sensi di colpa per aver abbandonato, una ventina d’anni prima, un figlio concepito sul set, è pronta a morire durante le riprese(1); anzi, forse ci spera, ammesso che la sua dipartita serva ad arricchire il suo unico, sconosciuto, erede. Intanto, tra i 600 partecipanti accorsi per la performance, tutti identificati da un numero, un ragazzo poco più che ventenne, che si dichiara figlio di Cassie Wright ed è deciso a salvare la madre dagli errori di una vita, fa conoscenza con un pornodivo giunto a fine carriera che si prepara per una delle sue ultime apparizioni, e con un ex attore televisivo gay che tenta di dimostrare al mondo (ma soprattutto a se stesso) la sua eterosessualità.

Narrato a quattro voci dalla giovane Sheila e dagli attori numero 72, 137 e 600, ispirato alla storia vera di Annabel Chong(2), Gangbang, ultima opera di uno degli autori più sopravvalutati della sua generazione, è un romanzetto breve e poco consistente, fatto di noiose, poco credibili, chiacchiere da corridoio(3) che appesantiscono una trama prevedibile e piuttosto mal congegnata, rendendo il percorso fino al raffazzonato finale faticoso come un’arrampicata.
Infarcito di piacevoli aneddoti paleo-hollywoodiani (che purtroppo non giustificano il tempo speso nella lettura), ma completamente costruito su un tentativo di depistaggio tanto lampante da risultare totalmente inefficace(4), Gangbang è la perfetta opera post-moderna (nel senso che spinge alle estreme conseguenze la mediocrità di un certo deprecabile post-modernismo di maniera), e verrebbe voglia di chiedere, a chi ha ideato la frase “Finalmente il romanzo sulla pornografia che tutti ci vergognavamo di aspettare”, riportata sulla copertina dell’edizione italiana del libro, a chi si riferisse con quel “tutti”, dato che a conti fatti, se si è stati ad aspettare un romanzo del genere, è proprio il caso di vergognarsi.

Il romanzo Gangbang, di Chuck Palahniuk, è edito in Italia da Mondadori.



(1) Secondo la preparatissima Sheila, assistente di Cassie Wright, i casi di “embolia vaginale” sarebbero tanto frequenti da causare ogni anno la morte di circa 900 donne solo sul suolo statunitense.
(2) L’attrice Grace Quek, meglio nota come Annabel Chong, originaria di Singapore, è passata alla storia per aver avuto, nel 1995, 251 rapporti con 70 uomini nell’arco di 10 ore consecutive. Il folle record di Annabel Chong, tutt’ora imbattuto, ha attratto l’attenzione del regista Gough Lewis che, ha raccontato, nel documentario Sex: The Annabel Chong Story, (candidato ad un premio “Grand Jury” nel corso del “Sundance Film Festival” del 1999) la preparazione del film e parte della “dolorosa” biografia della protagonista.
Le “gesta” della proto-femminista Annabel Chong hanno inoltre ispirato la pièce teatrale 251, messa in scena a Singapore dalla regista Loretta Chen.
(3) In Palahniuk, come in Bukowski, tutti i personaggi si esprimono nello stesso modo, e secondo il medesimo registro, ma non si illuda il lettore: tra le pagine del tanto (ingiustamente?) acclamato “genio” di Portland non v’è traccia della sboccata poeticità di Chinaski e compari, e la corsa verso l’autodistruzione dei protagonisti, tutti piuttosto antipatici, lascia quasi indifferenti…
(4) Forse i lettori italiani non sono quelli americani, o forse Palahniuk ha in mente un pubblico di “ragazzini”, fatto sta che il tentativo di depistaggio è tanto lampante e grossolano da risultare quasi offensivo. Paradossalmente, poi, uno dei pochi momenti gradevoli della vicenda, è la scena, permeata da un’atmosfera alla James M. Cain (si pensi, per esempio, a La morte paga doppio), in cui 6 moduli assicurativi vengono estratti con nonchalance, da sotto al cuscino di un divano, ovvero proprio il momento in cui il lettore diviene certo che le sue intuizioni riguardo all’evolversi della trama siano corrette…

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Wednesday, December 10, 2008

L- George V. Higgins: Gli amici di Eddie Coyle

“Jackie Brown at twenty-six, with no expression on his face, said that he could get some guns.”
(Jackie Brown, di anni ventisei, nessuna espressione sul viso, disse che era in grado di procurare delle armi.) (1)

Boston, Massachussets, inizio anni ’70. Sembra che in città tutti siano improvvisamente interessati a comprare armi da fuoco non rintracciabili – pistole, fucili, mitragliatori, persino fucili d’assalto M16 provenienti dritti dritti da un deposito militare – e Jackie Brown, ventiseienne trafficante “al dettaglio” fa affari d’oro. È persino riuscito a comprarsi una Plymouth Road Runner da 4000$. Purtroppo, però, Eddie “dita” Coyle, intermediario e pesce piccolo della mafia, è in attesa di comparire di fronte ad un gran giurì in New Hampshire, e magari, in cambio di uno sconto di pena, è pronto a fare qualche nome, a patto di raggiungere un accordo con la polizia prima che i suoi amichetti italo-americani mettano le mani su di lui…

Geroge V. Higgins, americano, giornalista di “nera” e procuratore distrettuale, paragonato da Norman Mailer a Henry Green(2), salutato da Elmore Leonard come un maestro (“Higgins is my favorite... No, he doesn’t learn from me, I learn from him” [Higgins è il mio preferito… No, non ha imparato da me, sono io che ho imparato da lui] riporta il dorso l’edizione Henry Holt and Co. di The Friends of Eddie Coyle) (3), è forse uno degli autori più influenti (anche se spesso ha esercitato un'influenza indiretta, veicolata da figure del calibro di Elmore Leonard e Joseph Wambaugh) del nero americano.

“Le virgolette fanno la storia… Il dialogo fa i personaggi e i personaggi sono l’intreccio”(4), sosteneva Higgins, e in questa affermazione, il cui senso è ovvio per tutti gli appassionati del realismo minimalista americano, sono perfettamente riassunti la sua poetica ed il suo stile: solo attraverso una minuziosa osservazione e ricreazione, riproduzione, re-invenzione del linguaggio parlato è possibile produrre romanzi “realisti” (5).
Ne Gli amici di Eddie Coyle la narrazione, svolta “per scene”, come scrive Elmore Leonard nella preziosa introduzione al volume (sfortunatamente non riproposta ai lettori italiani), poggia completamente sui dialoghi: solo grazie all’impegno del lettore, che riunisce indizi e mezze parole lasciati cadere dai personaggi nel corso delle loro chiacchiere sconclusionate, sboccate, ben modulate(6), apparentemente vuote, è possibile ricostruire il corso – inesorabile, come in ogni noir che si rispetti – degli eventi.

Portato sugli schermi nel 1973 nell’omonimo film diretto da Peter Yates ed interpretato da Robert Mitchum (Eddie ‘dita’ Coyle), Peter Boyle (Dillon) e Steven Keats (Jackie Brown), Gli Amici di Eddie Coyle è un romanzo assolutamente impedibile per tutti gli appassionati del poliziesco, del noir, e per gli amanti del realismo americano in generale.

Il romanzo Gli Amici di Eddie Coyle, di George V. Higgins, è edito in Italia da Einaudi.



(1) Geroge V. Higgins, The Friends of Eddie Coyle, Henry Holt and Co, New York 2000, p. 3. Traduzione di Luca Conti e Luisa Piussi in V. Higgins, Gli amici di Eddie Coyle, Einaudi, Torino 2005, p. 3.
(2) Henry Green (1905-1973), compagno di studi di Evelyn Waugh e Anthony Powell a Oxford, autore di nove romanzi ed un’autobiografia, è generalmente considerato uno dei più importanti scrittori modernisti in lingua inglese.
Sempre Mailer ha dichiarato, riguardo a Gli amici di Eddie Coyle, di non poter digerire che un così bel romanzo d’esordio fosse stato scritto “by the fuzz”, ovvero “da uno sbirro”.
(3) L’amore di Leonard per The Friends of Eddie Coyle è chiaramente testimoniato dal romanzo Jackie Brown: in questo l’hostess-contrabbandiera-eroina (Pam Grier nel noto film di Quentin Tarantino) riprende il nome di uno dei protagonisti del romanzo di Higgins e Ordell Robbie (Samuel Jackson nel film), piccolo trafficante d’armi, è chiaramente modellato su alcuni tratti di Eddie ‘dita’, e dello stesso Brown.
(4) Si veda qui la pagina delle "Libraries" della "University of South Carolina" su George V. Higgins, sezione “Higgins on Higgins”.
(5) Quanto detto è valido non solo per il romanzo poliziesco o noir, ma per la letteratura tout court. In effetti Higgins, che si considerava continuatore della tradizione del realismo americano, magnificata da Hemingway ed O’Hara, ha espresso in più occasioni un sincero rammarico per essere stato etichettato come autore “di genere”.
(6)Ne Gli amici di Eddie Coyle, ogni personaggio ha un suo modo di parlare, di porsi, di muoversi, di gesticolare, arriveremmo a dire.

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Tuesday, December 09, 2008

L- Pierre Magnan: Il sangue degli atridi

Digne, Provenza. Metà anni ’70. Una serie di omicidi rituali scuote il paesino: le vittime, due giovani rappresentanti dell’alta borghesia locale, un professore ed una vecchia signora, uccise attraverso un’unica, precisa, sassata ad una tempia, non mostrano alcun collegamento evidente. Tra i paesani si diffonde il panico, ma due inquirenti di grande intuito e qualità, il giudice Chabrand e il commissario Laviolette, entrambi “in esilio” nella provinciale Provenza (per motivi politici uno e per lo scarso rispetto dimostrato nei confronti delle gerarchie, l’altro), non hanno alcuna intenzione di lasciare il caso irrisolto, tanto più che uno di loro si ritrova personalmente minacciato dal misterioso assassino.

Scritto nel 1976 dall'allora cinquantaquattrenne provenzale Pierre Magnan, già tipografo, partigiano, impiegato presso una società di trasporti frigoriferi e autore di una serie di romanzi apprezzati dalla critica, ma totalmente ignorati dal pubblico, premiato nel 1978 con il prestigioso “Prix du Quai des Orfèvres”, Il sangue degli atridi segna l’inizio della "vera" carriera letteraria dell’autore.
Lo stile è piacevole, gradevolmente descrittivo(1); l’intreccio è ben congegnato, scorrevole a dispetto di alcuni punti morti, forse un po’ rigido sulla sua intuizione “classica” che costituisce, però, uno degli aspetti più interessanti e originali del romanzo.
Magnan e il suo Laviolette sono stati spesso (e non a torto) paragonati a Simenon e Maigret: in effetti le avventure del commissario di Digne hanno molto in comune con quelle del più noto collega parigino, soprattutto dal punto di vista della tecnica narrativa e delle scelte stilistiche. Ammettendo questa somiglianza (2) ci sembra di fare all'autore un meritato complimento: non sono molti gli autori del panorama europeo a poter reggere il confronto con un maestro come Simenon, soprattutto in un periodo dominato da romanzetti omologati e commerciali come quello in cui viviamo...

Il romanzo Il sangue degli atridi, di Pierre Magnan, è edito in Italia da Robin.



(1) D’altra parte la collana “I luoghi del mistero” alla quale il romanzo, nella sua edizione italiana, appartiene, punta chiaramente sull’“esotismo” delle location, e la scarsità di descrizioni sarebbe accolta, dal lettore, come una grave mancanza.
(2) Quanto affermato non deve trarre in inganno: la somiglianza (che, sia detto per inciso, non costituisce di per se' garanzia di gradimento, almeno per i puristi del noir e per i fanatici del thriller alla ricerca di narrazioni fortemente ritmate) si arresta al livello stilistico e tecnico-narrativo; al di là di questo, Magnan è autore dotato di una sua propria voce particolare, educata, meravigliosamente retrò, piacevolmente ironica (anche per quanto riguarda le questioni politiche).

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Wednesday, December 03, 2008

L- Barry Gifford: Perdita Durango

"This life sure's got question marks scattered around like dogshit in an empty lot, the way Daddy says. I guess I ain't been steppin' careful enough."(1) (Barry Gifford, Perdita Durango, Grove Press, New York 1992, p. 39.)



New Orleans, Louisiana. Perdita Durango, ventitreenne messicana, occhi scuri e minacciosi, fascino tenebroso alla “Tura Satana” in Faster Pussycat, Kill, Kill! di Russ Meyer, non ha grandi aspettative, e non si fa troppe illusioni: non vuole una famiglia, non cerca un buon lavoro, non ha mai pensato di potersi arricchire legalmente, e non sta aspettando il principe azzurro. Quando incontra il violento Romeo Dolorosa, rapinatore per gusto, santero(2) per vocazione, narcotrafficante con l’occasione, l’intesa è perfetta.

Spostatisi in Messico, e decisi ad attirare l’attenzione sul misterioso culto del quale sono sacerdoti, Perdita e Romeo decidono di sacrificare un essere umano all’interno di un macabro rituale, ma la polizia è già sulle loro tracce per il rapimento di una coppia di turisti statunitensi, i paesani spaventati non sono dalla loro parte, e un vecchio gangster che non gradisce la presenza delle forze dell’ordine lungo il confine ha già in mente un modo per sistemarli…


Barry Gifford si riconferma un maestro nella creazione di un certo genere di romanzi on the road ritmati e violenti nei quali la poetica tutta americana del viaggio incontra temi e modi del romanzo nero e del pulp, il gusto kitsch e le scelte di montaggio tipiche del cinema di serie b/z e le location western bollenti e desolate da film di Sam Peckinpah.

I personaggi credibili e ben definiti (pur nelle loro brutture) e i dialoghi iper-realistici (ma d’altra parte così genialmente, poeticamente sboccati da risultare quasi incredibili) conferiscono al romanzo un tono quasi beat(3).

L’intreccio è secco, rapido, folgorante; non ci sono parole di troppo nei libri di Gifford. Neppure una.


Un tempo leggibile in italiano all’interno del volume Storie selvagge (Bompiani), contenente tutti i racconti del ciclo di “Sailor” e “Lula”(4), e portato sugli schermi nel 1997 da Alex De la Iglesia (interpretato da Javier Bardem, Rosie Perez e James Gandolfini), Perdita Durango, piccolo capolavoro di un grande scrittore sfortunatamente poco noto e sottorappresentato in Italia, è al momento fuori edizione.



(1) "Questa vita ha dei punti interrogativi sparsi in giro come stronzi di cane in uno spiazzo vuoto, come dice Papà. Mi sa che non ho fatto abbastanza attenzione a dove mettevo i piedi" (trad. nostra).

(2) La santeria è un sistema religioso nato dall’incontro dell’animismo yoruba (diffuso in Africa occidentale) e il cattolicesimo imposto dagli spagnoli agli schiavi deportati nelle Americhe.

(3) Ma lo stile di Gifford non ha niente a che vedere né con quello di Kerouac e i suoi, né con quello, più moderno, di Hubert Selby Jr.: le frasi sono brevi, punteggiate, e richiamano, semmai, autori noir aperti alla sperimentazione come David Goodis e Jim Thompson.

(4) “Sailor Ripley” e “Lula Fortune” sono i protagonisti del noto romanzo Cuore Selvaggio di Barry Giffod, adattato da David Lynch e dall’autore stesso, e portato sugli schermi nel 1990.


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