Wednesday, November 28, 2007

L- Georges Simenon: La neve era sporca

Seconda guerra mondiale; in una livida e fredda città nord-europea stretta nella morsa dell’occupazione nazista, il diciannovenne Frank Friedmeier, figlio della tenutaria di un bordello di lusso,ha una posizione invidiabile, e può permettersi vizi che la maggior parte degli adulti non sognano neppure.
Fiaccato da una vita priva di stimoli e complicazioni, e toccato dal clima decadente (1) nel quale è cresciuto, Frank decide di dimostrare la propria maturità (2) commettendo un terribile omicidio.
Eccitato dalla presenza del vicino Holst in qualità di testimone, Frank porta a termine il suo malsano progetto, accoltellando un molle ufficiale dell’esercito occupante.
Rimasto insoddisfatto della sua situazione, ed indispettito dalla propria impunità, Frank si lancia in una serie di azioni orribilmente immorali o criminose (accomunate da un’aria di “sfida” alla società intera che nasconde, male, degli ovvi intenti autolesionisti…), finché, una mattina, un uomo in impermeabile si presenta alla sua porta per scortarlo in una misteriosa prigione…
Frank è riuscito a forzare il destino, facendosi causa della propria morte, o la sua condanna è legata a cause indipendenti dalla sua volontà?

Scritto, nel 1951, “La neve era sporca” riflette, nello stile perfetto del Simenon più ispirato, alcuni aspetti critici dell’uomo occidentale moderno, posti orribilmente in risalto, e forse amplificati dalla guerra (finita da appena sei anni al momento della stesura del romanzo), e lo fa senza la pretesa di parlare “di” e “per” un’intera generazione, ma limitandosi al caso fittizio (psicologicamente credibile ed anzi iper-realistico) di Frank Friedmeier, costretto ad affermare il proprio esistere attraverso la violenza, e poi risucchiato in un vortice di azioni irrazionali e volgari scelte e compiute in maniera compiaciuta.
Scuro, freddo, doloroso.Uno dei migliori romanzi di Simenon.
Adattato per il teatro dallo stesso Simenon nel 1951, “La neve era sporca” è stato oggetto di un trasposizione cinematografica diretta da Luis Saslavsky, già nel 1952.

Il romanzo “La neve era sporca” di Georges Simenon, edito in Italia da Adelphi, è ora riproposto da Mondadori (che festeggia il centenario dalla fondazione con una serie di eccezionali ri-edizioni) in tiratura limitata e numerata, nella prestigiosa collana “Medusa”.


(1) Non si tratta tanto del bordello “di famiglia” gestito dalla madre di Frank, ma di quella mollezza decadente che letteratura e cinema hanno spesso attribuito agli ufficiali nazisti…
(2)I meccanismi ed i ritmi normali dell’educazione e della crescita sembrano sospesi sotto il peso della guerra, tanto da imporre al ragazzo una rottura violenta con la vita precedente...

Labels: , , , ,

Thursday, November 22, 2007

C- Francis Ford Coppola: Un’altra giovinezza

1938; Dominic Matei (Tim Roth) è un vecchio linguista impegnato da decenni nella stesura di un saggio sulle origini del linguaggio.Sostenitore di una teoria monogenetica, Dominic è convinto di poter risalire a ritroso, attraverso lingue sempre più antiche, fino al mitico “protolinguaggio” originario. Completamente assorbito da uno studio che è per lui una vera e propria ragione di vita, l’uomo ha accettato, in gioventù, la rottura della relazione con l’amata Laura (la bella Alexandra Maria Lara).Incapace di completare l’opera, e arrivato, solo, all’età di settant’anni, Dominic si convince di essere stato un fallimento completo (agli insuccessi lavorativi si unisce la memoria dell’unico vero amore perduto…) e decide di suicidarsi.
Per una strana intuizione il vecchio professore si reca a Bucarest, dove ha intenzione di togliersi la vita il giorno di pasqua; appena uscito dalla stazione, viene però colpito da un fulmine.
I medici non hanno dubbi: Le possibilità di sopravvivenza del vecchio professore sono quasi nulle, eppure Dominic, condotto in un ospedale ed affidato alle cure del professor Stanciulescu (Bruno Ganz, recentemente collaboratore di Alexandra Maria Lara in “La caduta - Gli ultimi giorni di Hitler” di Oliver Hirschbiegel), porta presto a termine una miracolosa guarigione.
Incuriosito dalla condizione del paziente, il professor Stanciulescu, tiene sotto controllo Dominic ( momentaneamente privo dell’uso della parola) e comincia a notare, su questo, i sintomi di un rapido e vistoso processo di ringiovanimento.Nonostante le attenzioni di Stanciulescu , che tenta di tenere nascosta la sua scoperta, la voce si diffonde ed i nazisti, interessati al fenomeno, cercano di entrare in possesso del professor Matei per farne una cavia da laboratorio; il vecchio e pacifico Dominic (che, a forza di ringiovanire, dimostra non più di trentacinque anni) si inventa allora una nuova vita come latitante nella neutrale Svizzera…
Rimasto in Svizzera dopo la fine della guerra Matei (sopravissuto anche grazie alla complicità del suo “doppio” malvagio e freddamente razionalista, nato, o meglio “scoperto” come effetto collaterale della scarica del fulmine), prosegue i suoi studi di linguistica, poi l’ incontro con Veronica (una donna assolutamente identica alla perduta Laura) completa la sua seconda giovinezza “fisica” con una seconda giovinezza “intellettuale”.

Ispirato al romanzo omonimo di Mircea Eliade (1) ( ripubblicato per l’occasione da Rizzoli), “Un’altra giovinezza” è un film ricchissimo dal punto di vista narrativo; nella pellicola si trovano, concentrati nello spazio limitato di poco più d’un paio d’ore, toni noir (si veda l’illuminazione contrastata nel vicolo svizzero, degna dello Scarface di Howard Hawks), lunghe sequenze oniriche/allucinative di grande impatto, parentesi da film di spionaggio,larghi spazi metanarrativi, momenti romantici e riflessioni morali esplicite, grazie alla mano di un maestro capace di far trapassare i generi gli uni negli altri con una serie di impercettibili modulazioni.

Coppola, ormai sessantottenne, ed assente dalle sale cinematografiche da dieci anni (il suo “L’uomo della pioggia”, tratto da un romanzo di John Grisham è infatti del 1997), sembra aver ritrovato se stesso nel protagonista, afflitto da “blocco dello scrittore”; tutt’altro che estraneo alle escursioni al di fuori (o al di là?) dai sentieri generalmente battuti dal cinema d’intrattenimento (si pensi per esempio all’economicamente disastroso “Un sogno lungo un giorno”), il regista ha scelto per il suo ritorno sulla scena l’ adattamento (difficile) di un opera narrativa ma piena di risvolti filosofici e mistici (anche troppo), portata sullo schermo con tutta l’ingenuità degli americani “contro” ma con l’abilità dei grandi maestri, e la cinefilia degli “autori” della sua generazione…

Un film complesso ed articolato, godibile, graficamente interessante (anche per il recupero di quella dimensione "artigianale" del cinema da tempo abbandonata in favore di un facile ricorso alle nuove tecnologie...(2)), ingiustamente maltrattato dalla critica e quasi ignorato da un pubblico disattento.


(1) Il romeno Mircea Eliade (Bucarest 1907, Chicago 1986), romanziere e saggista, è uno dei più noti esponenti della “fenomenologia religiosa”. Nei suoi studi, collegati al vasto movimento dell’ irrazionalismo europeo, Eliade proponeva, in risposta alla crisi “esistenziale” dell’uomo occidentale moderno, un recupero di antiche forme di misticismo e di “destorificazione”.
Il “doloroso”divenire mondano, all’interno del quale l’uomo agisce “profanamente” (conducendo così una esistenza inautentica) è illusorio e doloroso.
Per sottrarsi all’irrealtà della durata profana l’uomo deve immergersi, sempre più profondamente, nel sacro.
I temi del “doppio”, del “tempo”, della metempsicosi, già affrontati da Mircea Eliade nei suoi studi storici e filosofici, vengono restituiti con “Un’altra giovinezza” al romanzo.
Da ricordare, tra i saggi di Eliade “Il mito dell’eterno ritorno” (Classici Borla), “Lo sciamanismo” (Bollati Boringhieri), “Tecniche dello Yoga”(Bollati Boringhieri).

(2) le lunghissime sequenze oniriche / allucinative presenti nel film sono segnalate e risolte con curiose sovraimpressioni (e mai con il ricorso ad effetti speciali esagerati o parentesi "digitali"...) ecc, che contribuiscono a conferire alla pellicola una meravigliosa aria "retrò"

Labels: , , , , , ,

Monday, November 05, 2007

L- Léo Malet: Morte a Saint-Michel

Il "Quartiere Latino" nel 1942, in un acquerello del pittore surrealista tedesco "Wolfgang Lettl" (http://www.lettl.de/)

Parigi, V Arrondissement; quartiere latino.
La giovane aspirante attrice Jacqueline Carrier (momentaneamente impiegata, per mantenersi agli studi, come spogliarellista in costume medievale…)(1) si mette in contatto con l’agenzia investigativa “Fiat Lux” per indagare sul misterioso suicidio del suo fidanzato, lo studente Paul Leverrier.
Leverrier, unico figlio di un noto ginecologo, si è tolto la vita con un colpo alla testa, apparentemente senza motivo.
Nestor Burma, annoiato per via del poco lavoro e per la momentanea assenza della sua segretaria Helène ( vittima di una fastidiosa febbre asiatica…), incontra la bella Jacqueline e, nonostante sia convinto che si tratti di un suicidio(2), accetta di occuparsi del caso, con l’intenzione di dare alla ragazza quella certezza che i poliziotti, retorica a parte, non si sono preoccupati di darle…
Buttatosi nell’indagine per dimostrare l’assenza del benché minimo mistero, il detective si trova ben presto ad aver a che fare con il solito mucchio di cadaveri, i soliti personaggi loschi o pittoreschi, bugiardi o ironici, cinici o innamorati…

Il punto di forza di questo romanzo di Malet (ma il discorso vale anche per le altre opere del ciclo dei “nuovi misteri di Parigi”) è, ancora una volta, da rintracciare nella capacità di evocare (o ri-evocare), con pochi tratti, le meravigliose atmosfere della Parigi a cavallo tra gli anni ’40 ed i ’50, la città in bianco e nero dei film di Carné (3), di Melville, quella del rififì e del milieu; d’altra parte, l’idea dell’autore di ambientare ogni romanzo in un diverso arrondissement, come per una visita turistica alla città, sotto l’eccezionale guida dell’ esperto, navigato, ironico, incredibile Burma, sembra confermare questa ipotesi.
Non mancano i consueti riferimenti a luoghi reali, (ed in particolare locali di surrealista memoria), che conferiscono all’opera effetti metanarrativi interessanti, se non proprio inediti(4), e l'introduzione di materiale letterario esterno (5); i personaggi, descritti con la consueta ironia non finiscono mai di stupire; l’intreccio ben costruito mette in difficoltà e sorprende anche i lettori più attenti…

Il romanzo “Morte a Saint-Michel” di Léo Malet è edito in Italia da Fazi.


(1) Nel corso dell’opera il cinico e “antiborghese” Burma si dimostra inspiegabilmente bacchettone; a indagine conclusa farà infatti in modo di procurare a Jacqueline fondi sufficienti per abbandonare la sua indecorosa professione….
(2)L’autopsia del medico legale non lascia infatti alcun dubbio: a premere il grilletto è stata proprio la mano di Paul Levverier.
(3)Molto interessante, da un punto di vista “ambientale”, il meraviglioso “Mentre Pargi dorme”, che mostra una città illividita e svuotata dalla guerra, quasi come la Berlino del rosselliniano “Germania anno zero”.
(4) Nella descrizione del cabaret “Colin des Cayeux”, in rue du Haut-Pavé (un tempo “Il Poeta Impiccato” ), dove Jacqueline si esibisce nel già citato “spogliarello medioevale”, Burma segnala la presenza, sul muro, del programma di un vecchio reading di poesie sul quale compare, tra gli altri, il nome di Léo Malet.
Il narratore intra-diegetico cita così, come in Cervantes, il narratore extra-diegetico.
Per quanto riguarda l’aspetto metanarrativo dell’opera di Malet si veda anche il romanzo “La notte di Saint-Germain-des-pres”.
(5)Fantastico l'inserimento della poesia "Una martire..." da "I fiori del male" di Baudlaire, che sembra trasportare il lettore verso i tratti più guignoleschi della storia...

Labels: , , , , , , ,

C- Len Wiseman: Die Hard, vivere o morire (Live free or Die Hard)

Stati Uniti; nel tumultuoso clima successivo ai fatti dell’undici settembre, le autorità sono pronte a valutare con la massima attenzione ogni minima minaccia alla sicurezza nazionale.Quando un gruppo di pirati viola il sistema informatico dell’FBI, gli agenti aprono una vasta operazione di caccia all’Hacker, ma gli uomini sulla lista dei sospettati sembrano morire in circostanze misteriose prima dell’arrivo delle autorità…Per velocizzare l’operazione, l’FBI si avvale della collaborazione dei vari dipartimenti di polizia, e l’agente MacClane (un Bruce Willis fisicamente sempre in grande forma…) viene incaricato di recuperare il giovane hacker Matthew Farrell (Justin Long) e consegnarlo alle autorità competenti.Quando dei killer armati fino ai denti e ben addestrati tentano di far fuori il ragazzo, MacClane capisce di trovarsi di fronte a qualcosa di grosso;intanto un attacco informatico capillare e condotto su più livelli getta nel panico l’intera nazione…

Len Wiseman, già regista di “Underworld” ed “Underworld: Evolution”, attualmente all’opera sul terzo capitolo della saga, (Underworld 3: The Rise of the Lycans, in uscita nel 2009), filma con “Die Hard, vivere o morire” un action movie stilisticamente discreto se non proprio mediocre, graficamente poco appagante, ma esagerato al punto giusto, ultratecnico per la gran parte (1) e finalmente manesco nell’ultima ventina di minuti.
Il film ha ritmo, ma certo non brilla per l’originalità, e si sente la mancanza del regista John Mc Tiernan (presente in veste di produttore nonostante la recedente condanna a 4 mesi di reclusione, per aver illegalmente tenuto sotto controllo dei telefoni nell’area di Hollywood….). Ispirato in parte ai personaggi di Roderick Thorp (2), ed in parte dall’apocalittico articolo “Addio alle armi” di John W. Carlin, apparso sulla prestigiosa rivista Wired nel 1997 (leggibile all’indirizzo http://www.wired.com/wired/archive/5.05/netizen.html), “Live free or Die Hard” evoca e risolve, in un gioco dalla ovvia funzione catartica, le peggiori paure dell’america post 11 settembre.
Eccezionale Bruce Willis, brava anche la poco nota Maggie Q.(3)

Un film piacevole, soprattutto per chi sia in grado di trascurarne i patetici intenti politici…


(1)I tempi sono cambiati, e se un tempo il “duro” MacClane poteva permettersi di risolvere le cose a modo suo, usando le maniere forti, e anzi compiacendosi qua e là d’essere “tutto muscoli e niente cervello” (come capitava spesso ai protagonisti di un certo tipo d’action movie molto in voga negli anni a cavallo tra ’80 e ‘90), oggi anche lui ha bisogno di un socio, almeno fino al confronto diretto con i temibili terroristi…
(2) dal romanzo “Nulla è eterno” di Roderick Thorp, edito in Italia da Sonzogno nella ormai defunta collezione “Diabolick presenta”, è stato tratto il primo episodio della tetralogia di Die Hard; le differenze tra il protagonista cinematografico e quello cartaceo cartaceo sono molte e molto profonde; in generale si può dire che MacClane abbia ereditato da Leland (questo il nome del protagonista di Thorp) una serie di tratti che rientrano perfettamente nei canoni dell’eroe da poliziesco d’azione: un meraviglioso cinismo, un machismo, non sempre ironico, che tocca l’apice nei dialoghi con l’antagonista (caratteristica questa, mantenuta fino ad oggi come ben dimostra il quarto capitolo della serie cinematografica), uno stoicismo ai limiti del masochismo…
(3) Cara al pubblico di Hong Kong per la sua apparizione in opere quali “Naked Weapon”, e “Gen-Y Cops” (il secondo poi proposto da Jackie Chan per la distribuzione negli Stati Uniti ), la ex fotomodella di origini vietnamite si è recentemente imposta all’attenzione del pubblico occidentale con un ruolo nel film Mission Impossibile III.

Labels: , , , , , , , ,