Wednesday, May 24, 2006

L- Daniel Pennac: Il paradiso degli orchi

Benjamin Malaussène, professione capro espiatorio in un grande magazzino (costa meno, ed è più efficace del controllo tecnico), è fratello maggiore (elevato a quasi-capofamiglia) di una miriade di ragazzini e ragazzine aventi la stessa madre (sempre latitante), ma padri diversi.
Quando una bomba esplode nel reparto giocattoli del grande magazzino, un 24 dicembre, lo shock supera di gran lunga i danni fisici (una altalenante e passeggera sordità), e gli fornisce nuovo materiale per le storie che ogni sera racconta ad i fratelli cercando di tenerli lontani dalla televisione… Col passare del tempo, però, altri attentati danno seguito al primo, tutti secondo le medesime modalità, tutti all’interno del grande magazzino, e tutti a pochi passi da Malaussène; il protagonista si vede perciò sempre più coinvolto (oltre che pericolosamente in cima alla lista dei sospetti), ritrovandosi quasi costretto ad indagare.

Lo stile fantastico e surreale di Pennac, oscillante tra il registro basso del parlato ed un formalismo alto e quasi barocco (non a caso il protagonista cita il Gaddiano “Pasticciaccio”), ben si adatta alla mentalità caotica e (perché no?) infantile di Bnjamin; i personaggi colpiscono e divertono, l’ effetto comico è ben dosato, i tempi sono perfetti, lo sviluppo della storia, tutt’altro che lineare, convince e certamente non annoia.
L’ironia (avente carattere etico, come sottolineato da uno dei personaggi nel bel mezzo di un dialogo) che domina il romanzo è a tratti tagliente, ma mai forzata.
Meravigliose le pagine riguardanti il cane Julius (cariche di un affetto, di una tenerezza assolutamente genuini), quasi una fenomenologia di quell’ amore/odio che domina il rapporto di ogni “padrone” con il suo cane.

“Il paradiso degli orchi” è la prima delle avventure du Malaussène, tutte edite da Feltrinelli.

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Monday, May 22, 2006

C- Spike Lee: Inside Man


Quattro rapinatori travestiti da imbianchini irrompono in una delle più vecchie filiali della Manhattan trust, prendendo in ostaggio una cinquantina di persone tra clienti ed impiegati;
a negoziare con i rapinatori viene chiamato Keith Frazier (un Denzel Washington al massimo della forma).
Le cose si complicano quando l’influente Madeline White (Jodie Foster a suo agio nell’ennesimo ruolo da donna in carriera), accompagnata dal sindaco di N.Y. si presenta sul luogo del delitto pretendendo di aprire un secondo negoziato (i rapinatori sono già in contatto con la polizia) con il freddo Dalton Russell (il capobanda); la donna è pagata per offrire ai rapinatori un “piccolo incentivo” per lasciare la banca.
Frazier realizza ben presto che la rapina è solo un pretesto, e i rapinatori/sequestratori stanno solo cercando di prendere tempo.
Quando la polizia irrompe nella banca, ostaggi e rapitori indossano grosse tute e maschere, e, nonostante gli sforzi, anche interrogandoli tutti, risulta impossibile distinguere i colpevoli dagli ostaggi.
In seguito ad una rapida ispezione, la polizia si rende conto che nulla è stato sottratto alla banca, e che le armi con le quali i “rapinatori” hanno tenuto sotto sequestro cinquanta persone erano semplici giocattoli…
Cosa è successo nella banca? Dove sono finiti i rapitori? Perché sequestrare cinquanta persone, inscenando una rapina per non sottrarre niente? Da chi è pagata la ricca Madeline White , e per nascondere cosa?

Pensato come film di genere, ma zeppo di “messaggi politici” , spesso mal inseriti nel racconto, mal sviluppati(si pensi alle brevi parentesi antirazziste, ingenue e quasi ridicole nella peggior tradizione della sinistra americana di bassa lega) e, nella migliore delle ipotesi riducibili a abusati luoghi comuni, mal girato, secondo i consunti canoni del prodotto commerciale in stile cinema post-moderno (i punti stilisticamente più bassi sembrano stranamente incontrare i punti deboli della sceneggiatura), Inside Man è un bel prodotto commerciale, pronto per essere digerito, senza troppi problemi, da un ampio pubblico…
Le rare citazioni (es Denzel Washington cita “Quel pomeriggio di un giorno da cani” nel bel mezzo di un dialogo) palesate ad uso del pubblico, o decontestualizzate e reinserite in contesti impropri (es. l’ombra dell’agente Frazier proiettata sul muro al suo ritorno a casa richiama in maniera ovvia una delle più note immagini dello “Scarface” di H. Hawks) non impreziosiscono di certo un film di per se mediocre.
La sceneggiatura che, a detta degli addetti ai lavori dovrebbe costituire il punto forte del film,è ben scritta, precisa, e non priva di qualche tocco di genialità all’inizio, ma peggiora con lo scorrere della pellicola, fino allo svelamento dell’orribile, banalissimo, mistero, e crolla definitivamente sotto il peso “dei brutti finali”; sembra infatti che, indeciso sul da farsi, lo sceneggiatore Russell Gewirtz abbia inserito in sequenza i diversi, potenziali epiloghi (inutile dire che il risultato non giova ad un film di per se’ non eccelso).
Da segnalare anche la brutta colonna sonora, che fortunatamente accompagna solo poche sequenze del film.
Il vero mistero di “Inside Man” è forse da ricercare nell’ ingiustificata raccolta di ottime recensioni, e nei giudizi ammirati ottenuti…

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Saturday, May 20, 2006

L- Léo Malet: Il sole non è per noi


André “Dédé” Arnal è un’orfano di sedici anni; disegnatore di talento, ma privo di conoscenze, ed incapace di procurarsi un ingaggio, vive di stenti, mantenendosi con i rari sussidi dello zio.
Scontati due mesi di galera per vagabondaggio, il giovane si trova nuovamente su una strada.
Essendo quasi completamente a secco si vede costretto ad accettare l’offerta di lavoro di un operaio conosciuto in un bar, entrando così a lavorare in cantiere, finché, diffusasi la voce di un suo prossimo licenziamento, simula un infortunio tentando di truffare l’assicurazione.

Durante una delle visite al compiacente e complice medico incaricato delle sue cure, André conosce Fredo ed entra rapidamente a far parte di una banda di ragazzini.
Ipoteticamente destinato alla redenzione ed alla salvezza grazie all’amore di Gina (sorella di Fredo), il ragazzo non è in grado di sottrarsi al suo tragico destino.

Romanzo di un’indicibile crudeltà (quella del mondo stesso semplicemente elevata a progetto estetico), dominato da giovani personaggi disperati, “Il sole non è per noi” riporta in primo piano quell’anima, quella riflessione etico-politica della quale il noir francese si è sempre fatto portatore.
Il delitto (mai giustificato, ma giustamente trattato secondo i suoi aspetti sociali) ha un che di doloroso per i personaggi che delinquono (così come violenza e crudeltà, estreme, ma estremamente reali, sembrano travalicare la volontà individuale).
Il destino, un destino opprimente e scuro (lo stesso sole sembra non essere così caldo e brillante, come non risplendesse affatto per i poveri protagonisti), è l’unica vera regola del mondo, e di fronte alla sua grandezza i personaggi non possono fare altro che inchinarsi o soccombere.


Scritto verso la fine degli anni ’40, “il sole non è per noi” è il secondo capitolo della “trilogia nera” di Léo Malet.

“Il sole non è per noi” è edito da Fazi.

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Friday, May 12, 2006

L- Léo Malet: 120, rue de la Gare


Nestor Burma, di ritorno da un campo di prigionia tedesco (è stato restituito alla vita civile per motivi sanitari), vede il suo vecchio socio Bob Colomer alla stazione di Lione; l’incontro tra i due è però estremamente breve: Giusto il tempo di mormorare un indirizzo, il 120 di rue de la Gare, e Colomer cade a terra stecchito (Lo stesso indirizzo era stato pronunciato in punto di morte da un compagno di prigionia di Burma).
Il detective, strapazzato dalla guerra, ma ancora in forma, nota una ragazza in mezzo alla folla, una sosia di Michelle Hogan che ha in mano una pistola, ma è tutto troppo rapido, e nello scendere dal treno (già in movimento) ha un leggero incidente.
La vecchia agenzia “fiat lux” è chiusa dal 1939 quando il titolare si è arruolato nell’esercito, ed i suoi collaboratori (bella segretaria compresa) sono dispersi se non feriti/mutilati/caduti in guerra, ma “dinamite” Burma non ha nessuna intenzione di lasciare irrisolto il mistero “Colomer” e si lancia all’inseguimento dell’assassino per le strade di Lione.

Il consueto, amabile, cinico stile di Malet, estraneo ad ogni genere di sentimentalismo, ci presenta, in questa prima inchiesta di Nestor Burma una zona in guerra all’interno della quale i rapporti umani sembrano mutati, come mitigati dal male comune, un luogo/tempo nel quale anche i poliziotti (si pensi a Florimond Faroux) riscoprono di avere un cuore e dimenticano la loro proverbiale ostilità nei confronti dei loro colleghi “privati”; un mondo in cui chirurghi senza scrupoli vengono improvvisamente divorati dai rimorsi, dove le donne sanno davvero perdonare, e i cattivi pagano.
La tecnica narrativa fondata su di una generica reticenza (il trattamento riservato al lettore è speculare a quello riservato dal protagonista ad i personaggi secondari) che sfocia a tratti in palesi tentativi di depistaggio, rende la soluzione del caso praticamente impossibile per lo sciagurato lettore.

Da segnalare il brillante finale nel quale Malet si diverte a giocare con i canoni del romanzo giallo (generalmente così distante dal ben più crudo e realistico noir) chiamando in causa, e non a sproposito, un’icona come Sherlock Holmes (la cui abilità nel riconoscere “disinteressatamente” le diverse qualità di tabacco passa in Burma in virtù del ben noto nervosismo che attanaglia i fumatori arrivati al fondo del pacchetto).

Dal romanzo “120 rue de la Gare” di Lèo Malet è stato tratto l’omonimo film del 1946 diretto da Jacques Daniel-Norman ed interpretato da René Dary (Nestor Burma).

120 rue de la Gare è edito da Fazi.

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Thursday, May 11, 2006

L- David Goodis: La ragazza di Cassidy


James Cassidy, un tempo giovane pilota d’aereo di successo, è finito in rovina per via di un incidente del quale non aveva colpa.
Passato attraverso alcolismo, arresti per rissa, vagabondaggio e simili, si è riciclato come autista di pullman stabilendosi nella zona del porto di Philadelphia; in lotta con un rivale per via della moglie Mildred (una donna crudele e sensuale, provocante ed infedele), Cassidy viene incastrato per un nuovo incidente; inseguito dalla polizia dovrà scegliere se lasciare il paese dandosi alla fuga o cercare di dimostrare la propria innocenza…

Nonostante i recenti tentativi di fare di Goodis un beat (a quanto pare l’ultima moda vuole che il suo nome venga accostato a quello di Kerouac), il suo stile poco descrittivo e anti-lirico lo pone nella grande tradizione del noir classico americano; ciò che di beat si può trovare in lui è l’amore per i reietti, per gli emarginati (si pensi a tutti gli uomini promettenti finiti in rovina che popolano i suoi romanzi) ed un certo genere di sottoproletariato urbano, l’amore per i sobborghi (la zona del porto della nativa Philadelphia è talmente presente da essere co-protagonista del suo noto “la luna nel vicolo” recentemente ripubblicato da Fanucci), nel contempo vitali e letali come la Chicago dei “poems” di Carl Sandburg (questa dualità dell’ambiente sembra riflettersi sui personaggi subalterni che passano repentinamente dalla solidarietà all’aggressività ed all’aperta violenza nei confronti del protagonista).

“La ragazza di Cassidy” è stato pubblicato nel 1995 nella serie “i gialli Mondadori”.

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L- Barry Gifford: Cuore Selvaggio


La tormentata storia d’amore tra Sailor Ripley, un ventenne appena uscito di galera (dopo aver scontato due anni per omicidio) e Lula Pace Fortune, una ragazzina in fuga (ma senza convinzione) dalla madre opprimente.
Sailor e Lula corrono su una Buick decappottabile attraversando tre stati, e tutto sembra andare per il meglio, finchè, dato fondo a tutti i loro averi, i due sono costretti a fermarsi a Big Tuna, Texas.
Sailor cerca senza successo un lavoro qualunque, finché un ex marine sadico ed un po’ folle si fa avanti con un proposta…

Il minimalismo tutto americano di Gifford si applica senza forzature al mondo sporco e violento (sia pure decisamente meno violento di quello portato sullo schermo da David Lynch nel suo adattamento cinematografico premiato con la palma d’oro al festival di Cannes del 1990) all’interno del quale i personaggi si muovono; il linguaggio delle conversazioni (sboccato o dolce, educato e formale o violento e ruggente) sempre appropriato alle coppie/gruppi di dialoganti, è padrone assoluto di quest’opera che sembra nata per il cinema (si pensi ai pezzi brevi come rapidi stacchi di montaggio, alle continue ellissi, a quella sorta di “montaggio alternato” che ci mette di volta in volta a conoscenza della posizione degli inseguitori e degli inseguiti, al tono anti-poetico e assolutamente lucido delle brevi e rare descrizioni).
Da segnalare i due bellissimi racconti di Johnnie Farragut (uno svogliato investigatore privato con velleità letterarie) ottimo esempio di meta-narrazione.

“Cuore Selvaggio di Barry Gifford” è edito da Bompiani.

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