Saturday, January 28, 2006

C- Woody Allen: Match point



Tom, un irlandese di umili origini, giovane ex giocatore di tennis professionista si stabilisce a Londra per cercare fortuna.
Con le sue ottime referenze non ha problemi a farsi assumere come maestro di tennis in uno dei più prestigiosi club sportivi della città.

Fidanzato con Chloe (sorella di Chris,uno dei suoi allievi), Tom si innamora perdutamente di Nola, un’attricetta che sembra destinata a diventare la moglie di suo cognato.
La relazione tra i due sembra non avere futuro, e Tom sposa Chloe, ma quando la storia tra Nola e Chris finisce, l’irlandese (in breve trasformatosi, complice il suocero, da idealista ad arrampicatore sociale convinto) si lancia in una lunga ed impegnativa relazione extraconiugale, ben deciso a non abbandonare i privilegi ottenuti attraverso un matrimonio azzeccato.
Quando le richieste di Nola si fanno troppo insistenti Tom cerca di temporeggiare, ma alla fine, messo di fronte ad una sorta di ricatto, l’uomo è costretto ad uccidere la sua amante.

Film dai toni cupi (l’ atmosfera è rafforzata da un bilanciamento del colore (“timing”) che tende sempre al bruno e al grigio, anche in pieno giorno), Match-point è costruito sull’opposizione tra due visioni del mondo, espressioni dell’evoluzione della personalità del protagonista: idealista e tesa alla ricerca di un ordine razionale fondato sull’idea di giustizia la prima, segnata dalla perdita dell’idealismo e dal riconoscimento del ruolo centrale che il “caso” (inteso come opposizione fortuna/sfortuna) riveste nella vista di tutti noi, l’altra.
Molte autorevoli recensioni vorrebbero fare di quest’opera, un dramma dostoevskiano; Tom sarebbe un nuovo Raskolnikov (in effetti all’inizio del film il protagonista è ritratto steso su un divano mentre legge “Delitto e castigo”), ma questa lettura dostoevskiana è imprecisa e incompleta; Tom ha difficoltà a comprendere Dostoevski (infatti, nella scena sopra citata fa riferimento ad una guida alla lettura), tanto è vero che, sul finale, confiderà nel caso, rifiutandosi di accettare “la croce che ognuno di noi porta su di se’ ” .
Nella mancanza del castigo, non c’è redenzione, solo una sorta di oblio del delitto, e se il fatalista in senso classico è colui che combatte con il destino e ne resta sconfitto, l’opera in questione, segnata da un finale fin troppo fortunato, non può essere detta propriamente dostoevskiana.
Lontano dalla normale produzione di W. Allen , il film si concentra sulle passioni, sulla perdita dell’idealismo, sul sesso e non sull’amore; segnato da un’iniziale piano sequenza a camera fissa con tanto di voce fuori-campo “alla Godard” ed animato da una vicenda alla Cain, Match point è sicuramente un discreto noir (purtroppo quasi guastato da una recitazione non sempre all’altezza della situazione), e uno dei prodotti migliori di questa stagione cinematografica.

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Tuesday, January 24, 2006

M- Van Morrison: Pay The Devil




















Van Morrison intraprende una collaborazione con la “Lost Higway” (si tratta della terza casa discografica in tre anni dopo “what’s wrong with this picture” uscito nel 2004 per la Blue note, e “magic time” del 2005, per la Geffen) per rilasciare il suo nuovo album “Pay the devil”, un’ottimo disco di country moderno che riesce a non cadere mai negli abusati (strano a dirsi che un prodotto recente possa risultare abusato rispetto ad uno classico ancora attuale e riproponibile) canoni del genere “americana” restando legato allo stile del country anni ’50 e ’60.
Nel disco, la cui uscita è prevista per marzo 2006, figureranno, oltrte agli inediti, una serie di cover tra le quali "There Stands The Glass” di Webb Pierce, “Your Cheatin' Heart” (in una versione che ricorda la cover fatta da Jerry Lee Lewis piuttosto che l’originale di Hank Williams), “What Am I Living For” di Conway Twitty e “Til I Gain Control Again” di Rodney Crowell (resa famosa da Emmylou Harris nel suo ottimo “Elite Hotel” del 1975).
Van Morrison, con la consueta voce piena e calda sembra essersi lasciato indietro le noiosissime e mal arrangiate ballate di “Magic Time” in un disco che, pur non rappresentando il suo aspetto più originale, resta un’ottimo esercizio di Country moderno attraversato da eccellenti linee di chitarra lap-steel e da un pianoforte sempre utilizzato nella maniera più appropriata.
Da segnalare la commovente cover di “What am i living for” di George Jones, e una “My bucket’s got a hole in it” decisamente più ruggente della pacata versione di Hank Williams Sr.

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Saturday, January 21, 2006

L- John Cheever: Il nuotatore

Un uomo attraversa la città nuotando nelle piscine dei vicini per tornare ad una casa che crede sua, ma che trova disabitata; due sposi in vacanza in campagna sono testimoni delle aspirazioni contrastanti di una vecchia signora, due governanti, un giardiniere e una bambina; una radio straordinaria trasmette ad una coppia le tristi conversazioni dei vicini creando conflitti tra i due e portandoli a riflettere sulla loro propria miseria.

John Cheever è un maestro di quell’America del racconto troppo spesso dimenticata, o citata senza cognizione.

A più riprese paragonato a Checov, Cheever costruisce, in questi brevissimi racconti, piccoli affreschi di vita alto-borghese di un’ America ricca e spensierata; come il più noto Raymond Carver (al centro di un’accorta ripubblicazione da parte di Minimum Fax), Cheever mantiene un tono neutrale, o francamente partecipe, e sono i personaggi stessi che, colti in momenti di particolare lucidità autocosciente rivelano la pochezza, l’ipocrisia, le contraddizioni di un certo modo di vivere borghese tutto americano.
In lui, come in Carver, la critica non deriva da uno stile moralizzante, e l’impulso moralistico, ammesso che ve ne sia uno, è da rintracciare nella “selezione” degli eventi narrati, mai nella narrazione degli stessi.
Lo stile di Cheever è lucido,distaccato, e mai commosso, meno minimale e antidescrittivo di quello svilppato da Carver (privo di quel senso d’attesa persistente al quale l’autore di “Cattedrale” ci ha abituati), e più legato alla grande tradizione del racconto americano classico.
Certamente da segnalare il racconto “una radio straordinaria”, piccolo capolavoro Kammerspiel.

Dal racconto “il nuotatore”, che da il titolo alla raccolta, è stato tratto l’omonimo film diretto da Frank Perry e interpretato da Burt Lancaster.


Grazie a Sara per avermi regalato questo libro.

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Tuesday, January 17, 2006

L-Giorgio Scerbanenco: Milano Calibro 9


Scerbanenco è certamente l’autore noir italiano; al di là della diatriba sulla presunta paternità del genere nella sua forma italiana, il livello della sua opera è certamente insuperato.
“Milano calibro 9” è forse la sua migliore raccolta di racconti criminali, tutti ambientati nell’Italia delle bettole, dei baretti, delle periferie e della piccola malavita.
Il linguaggio eccellente, il ritmo, la tecnica narrativa e i personaggi tondi e ben realizzati rendono Milano calibro 9 un’opera certamente interessante (forse la migliore dell’intera produzione scerbanenchiana), ed è inoltre storicamente rilevante il suo effetto su un certo tipo di cinema popolare italiano (si pensi a Fernando Di Leo ed ai suoi coevi mentre cercavano di ricreare un action ambientato nelle nostre metropoli).
Questi 22 racconti, molto brevi e nerissimi, sono decisamente inscrivibili in quel processo di dis-americanizzazione linguistica che segna lo stacco tra le prime esperienze noir italiane, ancora necessariamente legate ai grandi d’oltreoceano, e lo Scerbanenco poi passato alla storia.

Una curiosità: il racconto “Milano calibro 9” servì da soggetto per il film “La mala ordina” di Fernando Di Leo, mentre peril film “Milano calibro 9” (sempre di F. Di Leo) si prese spunto da altri racconti (ad esempio “Stazione centrale ammazare subito”).

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L-Chester Himes: Corri uomo corri

Generalmente - o almeno così parrebbero indicare le mie poche esperienze in questo senso - direi che chiunque abbia passato più tempo dietro una pistola, che dietro una macchina da scrivere, non può saper scrivere; sembrerà forse una generalizzazione, ma nel noir l’esperienza diretta di delitti e criminali è inversamente proporzionale alla godibilità dello stile: si paragoni, ad esempio, lo stile di un autore come Chandler, completamente digiuno di esperienze criminali, con quello di Hammett, decisamente più preparato in materia di delitti...; eppure nel caso di Himes bisogna ricredersi.
Una prosa alla Hammet, ma segnata da tematiche razziali (ricorrenti nell’opera di Himes) ci conduce in una Harlem degli anni cinquanta piena di bar, locali notturni, venditori d’armi da fumetto, puttane e poliziotti.
Il giovane nero Jimmy Johnson, studente e impiegato in una catena di tavole calde testimone di un duplice omicidio commesso da un poliziotto ubriaco, si ritrova a dover correre per la sua vita, perchè è difficile per un ragazzo nero convincere le forze dell'ordine che un agente bianco abbia “dato di matto” uccidendo due neri e ferendone un terzo senza motivo.
Il romanzo, scritto in Francia nel 1966 (Himes lasciò gli Stati Uniti dopo aver scontato una condanna per rapina a mano armata) scorre bene all’inizio, ma rallenta (in maniera forse eccessiva) e non si riprende del tutto neppure sul finale; ciononostante è reso godibilissimo dalla descrizione di un ambiente come la Harlem degli anni ’50, scenario ideale per un giovane di colore pronto a perdere l’onestà per salvare la vita.
Confrontato con i già citati noir di Hammett, ai quali potrebbe, per stile, essere paragonato, Corri uomo corri se ne allontana per la scelta dei personaggi (decisamente più umili), e per una certa (tutt'altro che spiacevole) schematicità dell’intreccio.

Il romanzo Corri uomo corri, di Chester Himes, è edito da Giano.

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Saturday, January 07, 2006

C- David Cronemberg: A History Of Violence



Tom Stall (Viggo Mortensen) è un uomo tranquillo, gestore di un tranquillo baretto in una piccola città agricola degli stati uniti, ha una moglie, una bambina, e un figlio smidollato vittima dei soprusi del bullo della scuola; quando due forestieri entrano nel suo locale per rapinarlo, minacciando di morte una cameriera, il signor Stall non ci sta, e, servendosi dell’arma appena tolta a uno dei due uomini, li uccide entrambi.
Il barista-killer diventa immediatamente un eroe di quell’America in cui la difesa armata e violenta della proprietà non è solo ben accetta, ma decisamente apprezzata; la popolarità però attirerà su di lui le attenzioni di due gangsters di Filadelfia…
Chi è Tom Stall? Tranquillo barista o crudele killer?

Il nuovo film di Cronemberg, tratto da un fumetto di John Wagner è un prodotto gradevole e poco credibile vagamente mosso da motivi politici, una sorta di incrocio tra un western di serie b e una “fenomenologia della violenza nella società americana”; sembra voler testimoniare che dalla violenza non esiste salvezza, e che non basta perdere di vista il passato per tornare “puliti”. (o almeno questo è quanto Cronemberg sostiene di volerci dire, ma come giustificare l'idilliaco finale? forse con la violenza ci si libera dalla violenza?)

Dal punto di vista linguistico-cinematografico non si può dire che si tratti di un film innovativo (Cronemberg non muove certo dalle “istanze rivoluzionarie” di Tarantino), semmai un prodotto ben rifinito seppur segnato da qualche scelta facile e stilisticamente criticabile (che dire delle due scene di sesso gratuite oltre che decisamente esplicite?).
Un film non privo di ambiguiti e atteggiamenti contestabili, ma da vedere.

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