Wednesday, December 28, 2005

L- Léo Malet: La vita è uno schifo

Jean Fraiger è un sovversivo deciso a rispolverare l’antica tradizione dell’illegalità (alla Bonnot, tanto per capirci), ma il passo che lo porta dal crimine politicamente motivato, al generico ed egoistico gangsterismo è molto breve.
Tutta la crudeltà, l’immotivata violenza, il cinismo che caratterizzano il suo personaggio, tutto il suo agire, dipendono dall’impossibilità di ottenere l’amore dalla donna amata. Tutte le gesta di Jean Fraiger non sono che il canto di un uomo che, ritenendosi incapace di ottenere l’amore, ripega sulla violenza, sceglie -come ogni eroe tragico che si rispetti- la morte. Quando con la conquista di Gloria e con l’affacciarsi della psicanalisi come possibile cura per tutti i suoi mali, sembra che le cose si stiano mettendo per il verso giusto, ecco che inesorabilmente il cielo torna a scurirsi, ed il tragico finale, che pareva inevitabile, arriva per volontà stessa del protagonista.
Primo romanzo della Trilogie noire, pubblicata in un unico volume nel 1969 e riproposta in Italia da Fazi, La vita è uno schifo è un noir atipico, dominato dal lato crudelmente introspettivo del protagonista, che schiaccia dialogo, intreccio e azione.
Lo stile di Malet è nero come pece, ma fluido come argentovivo.
Un posto d’eccezione, all’interno del genere noir, ma anche al di fuori di esso, meritano le incredibili sezioni onirico-immaginative di questo romanzo: qui infatti Malet, ancora forte dell’esperienza surrealista, dimostra tutta la sua qualità, la capacità di creare personaggi a tutto tondo, dalla psicologia perfetta, e muoverli su un mondo iper-realistico dominato dalle tristi leggi della fatalità.

Labels: , , , ,

Saturday, December 24, 2005

Auguri


Anche quest'anno, e anche se ho fatto finta di niente, il natale è arrivato; come buon proposito sotto l'albero, mi sono ripromesso di non leggere antologie di racconti come "delitti di natale" o simili, così il lettore non dovra sorbirsene la recensione.
Tanti Auguri a Tutti-
Fabrizio

Monday, December 19, 2005

L- James M. Cain: La morte paga doppio


L’assicuratore Walter Huff, buon piazzista e onesto lavoratore, come qualcuno della sua compagnia avrà modo di definirlo, si imbatte nella signora Nirdlinger per via di un rinnovo di polizza auto.
La donna è una di quelle che fanno perdere la testa, e anche se Walter sa esattamente che sarebbe meglio “mollarla come un attizzatoio rovente”, non riesce a sottrarsi al suo fascino, e in men che non si dica si ritrova coinvolto in un omicidio con annesso tentativo di truffa ai danni della sua compagnia. Quest’opera apparsa per la prima volta a puntate sulla rivista “Liberty” è davvero un grande classico della narrativa noir; il consueto stile asciutto di Cain riesce a sbalordire con i suoi ammiccamenti, efficaci ed espliciti al punto da apparire vere e proprie anticipazioni, e comunica un senso di ineluttabilità, la tragicità inevitabile dell’uomo distrutto dalla donna fatale.
Ancora una volta Cain mette in scena l’uomo tranquillo, razionale, Incapace di sottrarsi al fascino di una donna che sarà la sua rovina.
L’ intreccio procede rapido, e privo di punti morti, verso il tragico finale, rafforzato dall’amore di Huff per Lola, la giovane figliastra della signora Nirdlinger, che lo porterà quasi a desiderare una giusta punizione.
Da quest’opera è stato tratto il film “La fiamma del peccato” (1944) sceneggiato da Raymond Chandler, diretto da Billy Wilder e interpretato da Fred MacMurray ed una strepitosa Barbara Stanwyck.

Labels: , , , , , , ,

Thursday, December 15, 2005

C- Doug Liman: Mr. & Mrs. Smith



Uscito nelle sale il 2 dicembre, Mr. & Mrs. Smith di Doug Liman, che in America ha già sbancato tutti i botteghini, è stato accolto in Italia con reazioni non troppo buone.
In effetti il film, che è la versione rimodernata (e qui, come spesso succede, il termine "moderno" identifica un prodotto di cattivo gusto) de "L'onore dei Prizzi", con un nome preso in prestito da un'opera di Hitchcock, ha tutta l'aria di una puntata di "Casa Vianello" girata con un occhio alla Spy story classica.
La regia di Doug Liman (The Bourne Identity, Swingers) è quella giusta per un prodotto di questo tipo, nessun virtuosismo, montaggio per pezzi brevi nelle scene d'azione, uso e abuso di effetti speciali e controfigure, qualche ammiccamento al De Palma di "Mission:Impossible" (inutile precisare che Liman non è De Palma), al gangster movie di Hong Kong ecc.
Nel complesso il film è un polpettone di cose già viste e riviste e stando così le cose quasi spiace precisare che in due o tre occasioni riesce a divertire.
A chi ha commentato il film dichiarandolo privo di una trama si consiglia di rivederlo (la trama non sarà originale ma per lo meno esiste...)
Tra le scene da segnalare, in negativo ovviamente, quella in cui i due agenti segreti con licenza di uccidere (e di uccidersi) si riappacificano dopo una lunga lotta a mani nude (che li trasforma in una sorta di Tom e Jerry in carne ed ossa) e si mettono a fare colazione accompagnati da una orribile cover del classico di Bob Dylan "Lay Lady Lay".
Mr & Mrs Smith è sicuramente un ottimo investimento per i produttori, un po' meno forse per gli spettatori....

Labels: , , ,

Monday, December 05, 2005

L- Tennessee Williams: La primavera romana della signora Stone


La deriva della signora Stone, vedova cinquantenne e favolosa ereditiera, e la sua riscoperta dell’erotismo attraverso la solitudine..

La signora Karen Stone, ex attrice teatrale un tempo dotata di una straordinaria bellezza, si ritrova sola a Roma, e intraprenderà, sotto le spinte di una poco onesta contessa, una relazione con Paolo (“poco più che una marchetta” a detta della stessa contessa).

Quest’opera è essenzialmente il racconto di una solitudine tanto profonda da portare alla deriva, (quel momento in cui non si ha più contatto con le proprie azioni, fino al punto che queste ci appaiono senza senso) la storia di una donna che, non più giovane, e conscia del declino della sua bellezza, si rifugia in una serie di relazioni amorose di poche pretese.

La prosa di Tennessee Williams, fatta di frequenti metafore e descrizioni ambientali, non sembra essere al livello del suo stile drammaturgico, che si realizza sostanzialmente in una forma dialogica decisamente concisa e minimale, nel parlare dell’uomo comune, e forse anche sotto il comune;

dal punto di vista tematico, Williams riconferma in questo suo primo ed unico romanzo, l’amore per una certa forma di erotismo decadente che sembra essere comune anche ad altri grandi scrittori del sud (come Faulkner e Caldwell).

Da questo romanzo è stato tratto l’omonimo film diretto da José Quintero ed interpretato da Vivien Leigh (Karen Stone) , Warren Beatty (Paolo Di Leo) e Lotte Lenya (contessa).

Nota: L’interpretazione della contessa valse a Lotte Lenya (moglie del famoso compositore Kurt Weill) un Accademy Award come miglior attrice protagonista.

Labels: , , , , , ,

Saturday, December 03, 2005

C- Walter Benjamin: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

Steve Bachman, ritratto di Benjamin

La riflessione estetica, in Benjamin è finalizzata all'integrazione delle teorie di Marx, con tesi sullo sviluppo dell’arte all’interno del sistema capitalista.

Benjamin usa come linea di demarcazione tra l’arte classica e quella moderna, la possibilità di una riproduzione tecnica dell’opera (alcune tappe essenziali per la costituzione di questa sarebbero ad esempio l’invenzione della stampa, l’avvento della litografia, e infine la fotografia).

Se l’arte classica è legata indissolubilmente al concetto di “autenticità dell’opera”, con l’introduzione di mezzi tecnici di riproduzione (che permettono, con un minimo intervento umano, una copia perfetta dell’opera riprodotta) segna il declino dell’unicità e della autenticità stessa dell’opera.

Se l’arte nasce in vista di un “valore cultuale” (si pensi ad esempio alla ritualità dei graffiti paleolitici), la riproducibilità tecnica favorisce lo sviluppo del suo “valore espositivo”.

Al valore antico, e cultuale dell’arte è legato il concetto di Aura (“ l’apparizione di una lontananza, per quanto questa possa sembrare vicina”), ovvero l’irraggiungibilità propria dell’opera in virtù del suo aspetto sacro.

La modernità, con la sua tendenza a volersi appropriare degli oggetti da una distanza sempre più ravvicinata, mette decisamente fine al concetto di aura; gli ultimi tentativi di recupero dell’aspetto cultuale dell’arte, sono da rintracciare nel “ritratto fotografico”.

Messa in luce questa duplice valenza dell’arte, Benjamin si dedica all’analisi delle forme d’arte moderne.

Se nel teatro l’interpretazione è immediata, e il personaggio dell’opera trasmette la sua aura all’attore, nel cinema, a causa del rapporto indiretto tra attore e pubblico, questo non accade (secondo Benjamin il primo ad aver intuito questa grande differenza sarebbe Pirandello).

Se l’arte classica è pensata per il raccoglimento, e dunque non è in grado di reggere la “ricezione collettiva simultanea”, il cinema si adatta invece perfettamente alle nuove necessità di intrattenimento delle masse.

Il cinema viene vissuto distrattamente: se attraverso il raccoglimento il singolo fruitore penetra nell’opera d’arte, nella fruizione distratta è l’opera stessa a penetrare nella massa. A questa caratteristica legata alle modalità di fruizione sono in un certo senso dovute le obbiezioni generalmente mosse al neonato cinema dai filosofi poco attenti ad i suoi aspetti sociali rivoluzionari.

Se lo scopo dell’arte nel mondo capitalista dev’ essere di “mobilitare le masse”, l’unica arte in grado di rispondere a questa esigenza è il cinema.

La funzione positiva del cinema è innegabile: il pubblico passa da un rapporto estremamente retrivo con un Picasso, ad uno estremamente progressivo con un Chaplin (e nel processo si pone decisamente come critico, se pur distratto).

Non bisogna però dimenticare gli aspetti pericolosi del cinema, quelli propagandistici, e dell’arte di regime utilizzata per costruire il consenso.

Se il fascismo procede ad una progressiva estetizzazione della politica, il marxista non può che rispondere con una doverosa politicizzazione dell’arte.

Il saggio è decisamente leggibile, breve, ma molto interessante; come si sarà capito da questi pochi appunti non contiene alcuna riflessione sugli “aspetti tecnici” del cinema.

Resta solo da chiedersi, a distanza di settant’anni, se il cinema muova realmente le masse, o se non si limiti a farlo per il tratto da casa al multisala più vicino.

Labels: , ,

M- Mick Harvey: One man’s treasure

Mick Harvey, il lato “buono”, il lato armonico dei bad seeds (costantemente in lotta con la spinta noise rappresentata, almeno fino a “nocturama”, da Blixa Bargeld”), dopo un paio di colonne sonore, e due dischi di cover di Serge Gainsburg, meravigliosamente riarrangiate ed eseguite con la complicità di Anita Lane, torna nei negozi con “one man’s treasure”, primo disco realizzato in totale solitudine.

Se dal punto di vista della performance questo disco può essere realmente considerato come il tesoro di un solo uomo, ciò non vale dal punto di vista compositivo; infatti solo due dei dodici pezzi contenuti nell’album sono stati composti da Mick Harvey ("Man Without A Home" e “Will You Surrender?”).

Gli altri dieci pezzi (cover di Lee Hazelwood, JJ Walker, Tim Buckley, Nick Cave ) riconfermano appieno il ben noto talento di Harvey come arrangiatore, performer, e cantante.

Agli amanti dei “Bad Seeds” che non avessero apprezzato i primi due dischi di Harvey si consiglia di tornare ad ascoltare un Nick Cave sempre più urlante che con Abattoir Blues / Lyre of Orpheus ha dimostrato di essere molto abile a riproporre piatte forme già trite e ritrite, e, forse, di non aver più niente da dire.

Labels: , , ,

M- Brian Setzer orchestra: Dig that crazy Christmas

Da un paio d’anni a questa parte sembra che I dischi di natale siano tornati di moda; Brian Setzer ce ne offre la sua reinterpretazione in un disco tutto di standards (fatta eccezione per le due inedite “Hey Santa" and "Santa Drives a Hot Rod" firmate dallo stesso B.S.) reinterepretati in chiave marcatamente rockabilly.

Gli arrangiamenti rendono questo disco assolutamente originale, ma anche discretamente noioso e troppo pieno di virtuosismi chitarristici per risultare credibile come disco di natale (d’altronde lo stesso commento era valido anche per “Boogie Woogie Christmas” uscito a natale 2004).

Da segnalare l’ottima “My Favorite Things” (anche l’ unico pezzo in cui Brian Setzer, limitando l’esibizione delle sue doti chitarristiche, riesce a non annoiare).

Se quello che state cercando è un disco natalizio realmente elegante e ben arrangiato rivolgetevi piuttosto all’ottimo “Chris Isaac Christmas”.

Labels: , ,